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Articoli La prigione dell'identificazione
Cosa perdiamo rassegnandoci a rientrare in uno stereotipo?




La prigione dell'identificazione

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 La prigione dell'identificazione

In ogni dove, in ogni luogo, c'è un limite che darà a noi, esseri di sabbia, una forma che muterà lentamente la nostra sostanza. Il percorso di ogni uomo è tracciato dagli urti e dalla levigazione di un forte vento che spira implacabile dalla società verso il nostro ego: il vento dell'identificazione. Tutti i giudizi che riceviamo, positivi o negativi che siano, tendono a forzare sulla nostra pelle quale forma ci è concesso di assumere, qual è il nostro posto nel generalizzante sistema in cui sviluppiamo la nostra esistenza. Ciascuno degli aspetti del quotidiano tende a catalogarci in una fascia sempre più stretta e opprimente: dai rapporti sociali ("tu sei quello che legge tanto", "tu sei il superficiale", ecc.) a quelli economici ("la tua attività lavorativa corrisponde ad un numero che definisce ciò che fai") tutto tende ad incasellarci stabilendo dove iniziamo e finiamo.

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Il proprio valore o merito può essere riconosciuto solo in base ad un singolo aspetto di ciò che facciamo purchè non contrasti simmetricamente con quello di chi ci sta volontariamente o involontariamente giudicando. L'esaltazione di una qualità percorre l'accidentato sentiero della distruzione di tutte le altre: copre la smisurata distanza che intercorre tra l'affermata superiorità di chi ci esalta in campi che ritiene se non superiori almeno "parimerito". In questo processo si concretizza il sacrificio di tante possibili abilità in favore di una singola ritenuta dai nostri interlocutori magari interessante ma alla stregua dell'inutilità; questo perchè nei rapporti abbiamo un continuo bisogno di esaltare inconsciamente noi stessi aggiungendo dei "ma" e dei "però" (a noi favorevoli) alle affermazioni di personalità di chi si para di fronte a noi ("è simpatica ma brutta", "è bello ma stupido", "è un genio ma fuori di testa"). Per questo cerchiamo titoli, riconoscimenti, prove (falsamente) concrete di noi senza sapere che a nulla valgono di fronte all'ostinazione di chi, temendo di sminuirsi, non crede in noi.

Pian piano gli urti della società ci definiscono scolpendo indelebilmente sul nostro volto quella che prima non era altro che una maschera che spesso non scegliamo. Il desiderio di catalogazione, instradamento e semplificazione dell'essere umano chiude in ciascuno di noi infinite possibilità esaltandone solo una parte ristretta e non necessariamente positiva. Per ogni porta che ci viene aperta migliaia ci vengono precluse, potremmo entrare in molte stanze ma qualcuno, eretto dalla propria insicurezza, ci sbarra la strada.

Esistono tuttavia persone che lottano per affermare più lati positivi del proprio esistere, persone che rischiano il "tutto per tutto" abbandonando la via tracciata, il sentiero conosciuto per mettere in luce più aspetti dell'essenza che li contraddistingue; il problema sorge dal fatto che per fare questo occorre o schiacciare gli altri o rassegnarsi all'isolamento; la resistenza opposta dall'ambiente sociale in cui viviamo, in cui siamo immersi (amici, famigliari, colleghi, ecc.) è così forte e così diffusa da impedire ogni affermazione di se senza le sconvenienti conseguenze accennate. Di reazione autolimitiamo l'applicazione della nostra intelligenza potenziale ad aspetti specialistici che ci trasformano in appendici monouso di un gigantesco corpo guidato da chi ha conquistato il potere di esprimere ogni parte di se.

Se più persone impiegassero integralmente le facoltà che possiedono e se tutti rispettassimo l'applicazione altrui di queste medesime potremmo collaborare equamente senza dover sottostare a quel ristretto gruppo "eletto" che si è impadronito della nostra libertà di espressione, della nostra autodeterminazione. Pochi potenti hanno chiuso in scrigni inaccessibili il nostro talento, ci raccontano che non è possibile accedervi.
Non si tratta di divenire autosufficienti ma di mettersi ad un livello di applicazione egualitaria delle proprie facoltà primarie e secondarie pur condividendo con gli altri quelle che davvero ci mancano.

Più i modelli che si impongono su di noi diventano forti più perdiamo possibilità di mostrare noi stessi, più si impongono più chi ci sta intorno avrà argomentazioni più valide per sminuirci. La globalizzazione porta costantemente all'unificazione di modelli via via più imponenti paralizzando così iniziativa, libertà ed inventiva in favore di un'addormentata ed insipida uniformità. Se lo vogliamo possiamo fare qualsiasi cosa, scrivere, capire, inventare, vincere, non importa se all'inizio avremo difficoltà, anche i migliori ne hanno avute e sono partiti dal basso, non deve importarci se rideranno di noi, almeno ci saremo autodeterminati, questo da solo può fare di noi esseri unici e liberi. Davvero liberi.

Non dobbiamo scegliere sempre la via più corta, semplice, priva di onori e disonori; occorre lottare per fare dell'unica vita che abbiamo a disposizione un qualcosa di cui, guardandoci alle spalle, potremo dirci fieri. Sia da vincitori che da sconfitti. Combattiamo, crediamo in noi stessi e non cediamo mai di fronte al giudizio negativo altrui! Questo è il primo vero passo verso l'autodeterminazione: riuscire a non rientrare in uno stereotipo.

 

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