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Articoli Superficialità e sguardi persi
Cosa rimane di noi e degli altri?




Superficialità e sguardi persi

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 Superficialità e sguardi persi

Le stesse cose, gli stessi momenti, attimi già vissuti. Passati di silenzi immobili nascosti tra le curve di una pioggia che non vola ma cade, inesorabile, sotto montagne di banalità. Sguardi impauriti e dimenticati sono fotografie ingiallite del nostro essere, ritratti di proiezioni contorte e mal interpretate. Poeta del nostro tempo, un avvenire incerto. Il treno corre verso una destinazione misteriosa, anche il paesaggio corre ma noi, i passeggeri, siamo immobili. Alcuni si cullano in se stessi forti di un passato di illusioni mentre altri sono presi nel seguire dei modelli (credendo di apparire conducenti).

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Occhi che non saranno altro che il fragoroso tumulto uniforme di ricordi persi. Di quanti rimarrà impressionata la nostra pupilla e di quanti ci ricorderemo? Odio, amore, passione, amicizia volatilizzati come particelle dalla durata instabile. Triste pensare che li dimenticheremo quasi tutti, li giudicheremo rapidamente da come sono vestiti, dal loro aspetto. Loro, anni e anni di vicende, emozioni, sofferenze: dispersi in un frammento inaccessibile di memoria. Dove sono ora tutti gli sguardi persi? Come vivono? Sono vivi? O hanno perso il segmento della vita in cambio della semiretta della morte?

Distratti amiamo il vuoto di un tango che dura un attimo, fatto di simboli invece che di essenza. Il simbolo è mutevole e multiforme, soggettivo: la sua interpretazione non è altro che una tendenza, un seguire il passaggio di pochi, il cammino del serpente della vita che si morde ciclicamente la coda. Quale parte siamo del serpente? La testa? La coda? O solo un anello indistinto del corpo?

Perdiamo persone con infinite storie che non conosceremo mai. Nel buio alternato a freddi abbagli di una metropolitana, alla prossima fermata troveremo la morte, la possibilità della morte. Il viaggio tra le espressioni è un silente canto le cui stonature si sovrappongono all'infinito fino ad annullarsi nel grigiore della vibrazione intermedia. Anneghiamo entità straordinarie in paludi senz'acqua, in prati dall'erba sintetica.

Tra noi scorre un filo dorato che si assottiglia sempre più, fino a scomparire del tutto; il legame che ci ha uniti per pochi secondi si dissolve di continuo in mille code d'asfalto. Quando saremo giunti a destinazione chi testimonierà il nostro peregrinare? Crediamo grande ciò che invece non è che un tragitto segnato dall'esaurirsi delle forze, in un battito d'ali, in uno sfarfallio sfocato. Passiamo senza aver esplorato tutti i confini dell'essere.

Abbiamo la potenzialità di portare la nostra intelligenza al di sopra del livello istintivo eppure ne siamo ben lungi. Le nostre menti sono più padrone del corpo che della propria essenza creativa e razionale. In lontananza un'inutile musa canta versi che non ascoltiamo, forse perchè davvero inutili, o forse non percepibili a causa del costante dilagare di divertimento scelto o subito. Sostituiamo la nostra prerogativa unica ed irripetibile di intelligere con un minuto di pallido sesso. Siamo solo istinto logico, prevedibile. Con la busta in mano guardiamo solamente il francobollo e arrivati al rogo della nostra grandezza ne bruciamo il contenuto insieme all'inconsistenza dimostrata dall'involucro.

Perchè non mettersi in gioco per essere invece che per l'apparire?

Nell'ovvietà un'evoluzione tuttavia esiste. Nell'assurdo e inutile vagare fatto di brevi passi il cambiamento esiste; come un vecchio che danza goffamente piccoli uomini fanno uso del proprio cuore e cervello. Persone a cui ogni cosa vuota appare pregna di significato in quanto destinata a mutare nelle loro mani di forma e significato. Per questi esseri la perfezione esiste atemporalmente e/o aspazialmente, composta da miliardi di miliardi di porzioni sconnesse appartenenti nella stessa misura alla sua medesima idea. Più pensiamo più ci avviciniamo all'idea e alle idee.

Tratto da:
"Riflessioni irragionate"

 

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