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Sabato 19 febbraio 2005 - 15.06.43
Supposizioni: perché è meglio non essere felici
Felicità e tranquillità a confronto

Che la felicità non possa durare niente più che pochi attimi è ormai risaputo, ciò che invece spesso si ignora è il fatto che trovarsi in questo stato, anche solo per qualche secondo, costa davvero tanto.
Proviamo a riflettere: ”Quando davvero siamo al settimo cielo?” – Nei momenti più prossimi all’attimo in cui abbiamo finito di soffrire o di cercare qualcosa, è unicamente in questi istanti che possiamo davvero dirci tali. Ora riflettiamo invece sul perché questa condizione mentale non può durare a lungo. Se la felicità fosse il traguardo di una corsa o la fine di una sofferenza: “Perché questo excessus mentis non dura quanto vorremmo?” – La risposta sta nella consuetudine della vita di tutti i giorni: primo, vinta una corsa ne comincia subito un’altra, secondo, in quanto esseri imperfetti non sappiamo accontentarci di ciò che abbiamo e, terzo, se anche non ci fossero più “corse” da correre ci sentiremmo inutili e, in un certo senso, vorremmo morire.
Il “cambio” felicità-tristezza risulta del tutto squilibrato: per avere uno di felicità è necessario sacrificare cento di tristezza. Il rapporto proporzionale non torna. Proviamo adesso a trovare una soluzione alternativa: il distacco dalle emozioni.
L’avevano già affermato (con parole e mezzi assai diversi tra loro) secoli e secoli fa gli antichi filosofi greci: la condizione di vita migliore in assoluto è l’apatia, l’atarassia, il vivere distaccato dalle emozioni e dalle passioni o ancora l’accettare tutto come già scritto. Troppo poco per un uomo? Meglio abbandonarsi all’istinto? Una ricetta semplice semplice adatta a sviluppare un confronto tra tranquillità e felicità è la seguente: proviamo a perdere e poi a riacquistare tutto ciò che possediamo (anche in astratto): per qualche manciata di secondi saremo felici. Ne vale davvero la pena? Una vita di continui alti e bassi...
La scelta si apre quindi in due possibili grandi sentieri: la prima (quella più facile), a lunghe sofferenze far corrispondere brevissimi “battiti”di felicità e, la seconda (molto più complessa), è invece quella che offre la filosofia, trascorrere la propria esistenza (ad esempio) secondo lo stoico “frigido placatoque animo agere” (Seneca)... Nessuna emozione, nessuna sofferenza nessuna soddisfazione.
In conclusione è bene ricordare che per “tranquillità” in questo articolo si allude unicamente al distacco dalle passioni e non certamente al totale abbandono dell’impegno politico/sociale nella vita. Queste le premesse, a voi la scelta...

 

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