- Le qualità dell'infinito -
 

Caspar David Friedrich, Monaco in riva al mare, 1810 Berlino Nationalgalerie
 
L'INFINITO TRA LETTERATURA E FILOSOFIA

L'infinito è una delle idee che più ha interessato, affascinato, ma anche spaventato l'uomo nel corso della storia. Per infinito si intende tutto ciò che non ha limite in estensione, quantità o durata. La parola stessa ha come sinonimi a-peiron, un-endlich. Sebbene fin dall'antichità non sia mai stato connesso direttamente con problemi pratici, molti sono stati gli spunti da cui si è originato questo concetto, come, per esempio, l'innato desiderio umano di esplorare al di là del mondo conosciuto. L'immensità ha spesso originato pareri diversi. Mentre Pitagora, filosofo greco del VI sec. a.C. , Considerava negativamente l'idea di infinito, che non mostrava regolarità, completezza e armonia, la religione cristiana lo associa a Dio, quindi al divino e alla perfezione.

L'infinito è molto difficile da immaginare nel suo complesso: possiamo avere un accenno ammirando un cielo stellato e limpido o solo un piccolo richiamo osservando la distesa del mare fino all'orizzonte: il pittore olandese Van Gogh lo vedeva nelle vaste pianure della Francia.

Si incominciò a parlare d'infinito, però, solo in seguito allo sviluppo del pensiero matematico, il quale riuscì a staccarsi dai problemi pratici e raggiunse un livello più astratto e più ampio nell'universo dei numeri il cui insieme è illimitato. Finché parliamo di cifre astratte, però, l'infinito rimane immaginario, frutto della genialità umana e non c'è alcuna possibilità che esista veramente nel concreto. Oggi rappresentiamo l'infinito con un simbolo, ideato dall'inglese John Wallis, vissuto nel XVII sec.:

Simbolo di infinito

Il concetto di infinito nel pensiero greco assume piuttosto un'accezione negativa, diventa simbolo di indefinitezza, illimitatezza e informità. Mentre la finitudine è simbolo di compiutezza e perfezione. Questa concezione si ritrova in Parmenide, Platone e soprattutto in Aristotele. Quest'ultimo nega che l'infinito possa mai esistere come una sostanza o un attributo di essa, come una realtà in atto, e gli riconosce solo un'esistenza potenziale. L'infinito, infatti, è ciò che può essere sia diviso sia accresciuto illimitatamente, ossia ciò la cui divisione o composizione risulta inesauribile e interminabile. In questo senso, per esempio, è infinita una linea poiché la sua divisione non può mai raggiungere un termine, dato che ogni segmento, per quanto piccolo esso sia, risulta ancor sempre divisibile. Di conseguenza, l'infinito non è un ente reale, in atto, ma solo un processo potenzialmente inesauribile perché lascia sempre qualcosa fuori di sé: è una "parte" che non arriva mai a essere un "tutto" compiuto.

Rispetto a questa concezione classica il pensiero tardo-antico conosce una svolta fondamentale, sia attraverso il neoplatonismo sia attraverso il cristianesimo. Già Plotino distingue chiaramente fra l'infinito potenziale della matematica, inteso come "inesauribilità" del numero, e l'infinito metafisico, inteso come "illimitatezza della potenza" dell'Uno, ossia come l'assenza di limitazione del principio produttivo. Su questa scia, nell pensiero cristiano il termine assume un senso totalmente positivo per indicare la pienezza della divina perfezione.

Con il romanticismo, corrente culturale che si diffonde in tutta Europa nei primi decenni dell'800, si ha una nuova considerazione dell'infinito. Esso viene associato alla ragione e assume un nuovo significato di onnipotenza, come una forza assoluta in grado di controllare il mondo: diventa così un movimento dinamico che dà origine al mondo e alla nostra esistenza. In aggiunta l'infinito viene inteso come una attività di sentimento libera e amorfa. L'idea di assoluto è alla base del pensiero filosofico romantico, di conseguenza diventa importante la maniera e il modo con cui si può giungere a questa conoscenza. L'uomo e la Natura sono fatti di Assoluto: lo possiamo cercare in noi, come un qualche cosa che ci appartiene, oppure lo si può ritrovare nella Natura: il filosofo romantico scorge in essa i segni e li interpreta con l'aiuto della sua emotività.

Nell'ambito del circolo romantico di Berlino spicca indiscutibilmente l'illustre figura di Friedrich Daniel Ernst Schleiermacher. Il fulcro degli interessi di Schleiermacher è costituito dalla filosofia della religione e della teologia; in contrasto con le interpretazioni razionalistiche dell'illuminismo, Schleiermacher definisce la religione come un'intuizione dell'infinito nella forma del sentimento. La religione infatti altro non è che "accettare ogni cosa particolare come una parte del tutto, ogni cosa finita come espressione dell'infinito".

Appurato che l'infinito coincide con l'universo, la religione sarà quindi l'intuizione di esso, inteso dapprima come universale naturale, come insieme delle cose finite che rimandano all'infinito, e poi universo morale in cui consiste lo spirito dell'uomo.

Dire che la religione è intuizione dell'universo non significa però sostenere che con essa l'uomo raggiunga una completa conoscenza dell'infinito, dal momento che privato del senso di mistero e di ineffabilità non sarebbe più tale:

Voler penetrare più profondamente nella natura e nella sostanza del tutto non è più religione.

L'intuizione dell'universo implica semplicemente il sentimento della dipendenza del finito dall'infinito, dell'uomo da Dio (ed è in esso che consiste l'atteggiamento autenticamente religioso). Ma tale sentimento non è un qualcosa di contingente e passeggero, non è uno stato emotivo che cambia con il variare delle condizioni che lo hanno determinato, bensì è connaturato alla costituzione stessa dell'uomo. Sebbene sia fondata su un linguaggio trascendentale (come la definì Schleiermacher riprendendo un linguaggio di tipo kantiano) l'esperienza religiosa si manifesta in forma individuale in ogni singolo uomo. Ogni individuo vive infatti in modo particolare la sua intuizione dell'infinito: in senso proprio, quindi, le religioni sono tante quanti gli individui. Questo spiega il fatto che storicamente essa abbia assunto forme diverse e si sia istituzionalizzata in una pluralità di fedi positive.

Nessuna di queste religioni esaurisce in sé l'essenza stessa della religione, ma ciascuna di esse è pienamente giustificata, in quanto è uno dei possibili modi finiti in cui si mostra l'infinito. La sola religione il cui valore non viene riconosciuto da Schleiermacher è quella naturale, che cerca di comprendere razionalmente Dio e di dimostrarne argomentativamente l'esistenza: in questo modo però l'infinito viene ridotto alla stregua del finito e l'uomo si chiude nell'esperienza religiosa.
Nello stesso periodo in Italia Giacomo Leopardi rappresentava in questo modo l'Infinito:

Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare

In questo idillio l'infinito è nello stesso momento immensità dello spazio ed eternità del tempo. Il contemplatore dell'infinito "sedendo e mirando" vede "indeterminati spazi" e "sovrumani silenzi" . Diventa questa la situazione ideale per poter ammirare e contemplare, quasi in maniera ascetica, tutto ciò che circonda la persona che si reca in cima al colle, desideroso di ammirare l'Infinito. Sono proprio i confini fisici e materiali dell'uomo che spingono a cercare oltre. Durante questo sforzo, il cosiddetto streben romantico, il pensiero si confonde, il tempo perde la sua funzione, passato, presente e futuro si mescolano, il tutto immerso in un soprannaturale silenzio.

La natura è il limite esterno, aggirato dalla forza cognitiva del Poeta capace di trasportarlo dove regnano gli incommensurabili spazi e le eterne profondità; la mente è ora aliena dalla umana concezione, affonda nelle immensità travolta dal fluire del tempo, percorsa dalle sonorità della natura.
 

L'INFINITO NELLA LETTERATURA

Giacomo Leopardi, come sottolineava Italo Calvino nelle sue Lezioni americane, non può essere compreso solo in termini sensistici; egli indaga, partendo dalla razionalità matematica del concetto di spazio e tempo posta a confronto con l'indefinito, una questione dominante nella storia della filosofia: il rapporto tra l'idea d'infinito come spazio e tempo assoluti e la nostra percezione pratica di questi. È la dolcezza nei versi dell'Infinito a sopprimere lo spavento di fronte a sensazioni sconosciute alla mente umana, la quale si ritrae, ma avverte simultaneamente un intenso e persistente senso di abbandono. Quest'ultimo conduce il Leopardi a contatto con l'ignoto, straordinaria esperienza per il Poeta che si salva dalla disperazione dell'esistenza unicamente attraverso la speranza e l'immaginazione originate dai suoi stessi sensi. Il tendere all'infinito è proprio una azione puramente mentale e intellettuale.

The last thirty years of the 18'century are referred to as the Pre-Romantic Age: the new sensibility became dominant and began to influence poets and philosophers.

Reason seemed powerless to correct the evils of society such as the misery and ugliness brought by industrialisation. Moreover the supremacy of reason as the only path to knowledge and progress had led to the repression of emotion and feeling. Reason had turned into a sort of mental prison.
The appeal was therefore to the heart. The new sensibility led the poet to think about the absolute, the infinity, what he dreamt of but that he could not reach. Poetry was seen as best suited to expressing this feeling. There was a growing interest in melancholy, often associated with meditation on death. A new taste for desolate, the love of ruins, graveyards was part of the revival of interest in a past perceived as contrasting with present reality. The aim to approach to the boundless, the endlessness brought poets to deal with remote time and place, or with different reality from our own: Blake and Wordsworth stressed the importance of childhood, as an heavenly state where the soul is still connected with God, with the infinity, and so its perception of the reality is more vivid. Keats exalted the classical Greece as the best expression of Beauty and Truth, and so of the absolute. Finally, Coleridge managed to represent a different reality, composed by the combination of the supernatural and the commonplace, dreamlike elements and astonishing visual realism. The atmosphere of his Rime is charged with irresistible mystery, reproducing the impossibility to penetrate the unknown and the infinity.

With the Romantics imagination gain a primary role in the process of poetic composition. The eye of imagination allowed the Romantic poets to see beyond surface reality and apprehend a truth beyond the power of reason. Thus, imagination was a mean to achieve infinity. The poet, as a "visionary prophet", has to mediate between the infinity and the finite, expressing the boundlessness in his work of art. Nature, as a creature of the Absolute, became the main source of inspiration: regarded as a "living force", it was the expression of the immensity of the universe. Imagination was an enlightenment, a transfiguration of the finite, of the ordinary existence, thanks to a new relationship with the infinite. That is the innovation introduced by the Romanticism: to give the commonplace a new, infinite meaning, an energy that will never end.
 

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