- Il suicidio come dono alla società -
 

Un gruppo di kamikaze giapponesi prima dell'ultimo volo
 
I kamikaze giapponesi e il suicidio come dono alla società

La seconda rivoluzione industriale ebbe forti ripercussioni sulla società giapponese. Nel 1868 iniziò il Periodo Meiji, letteralmente periodo del regno illuminato, e con l'assunzione al trono del nuovo imperatore il Giappone visse un periodo di rapidissimo sviluppo. Così il 6 aprile 1868 l'imperatore Mutsuhito emanò un rescritto imperiale che annunciava l'abolizione del feudalesimo, la modernizzazione economica e amministrativa del potere e la creazione di assemblee consultive destinate a rappresentare la pubblica opinione. In realtà la modernizzazione del paese provocò il sacrificio di tali istituzioni liberali ancor prima della loro costituzione. Il Giappone degli anni a venire fu infatti guidato da un gruppo limitato di uomini costituito da una casta militare, i daimyo, che affrontarono il cambiamento strutturale del Paese convertendosi in grandi industriali. L'industrializzazione giapponese fu quasi interamente finanziata dall'interno, senza l'intervento di capitali stranieri, adottando tuttavia tecniche moderne occidentali. Vennero così a formarsi i primi quattro grandi cartelli finanziari (in giapponese zaibatsu) dell'arcipelago: Mitsubishi, Mitsui, Sumitomo e Yasuda. Le riforme modificarono a fondo la struttura della nazione, rendendola in poco tempo una nuova potenza economica e militare.

Tuttavia questo impressionante sviluppo economico non fu accompagnato, proprio a causa della celerità del fenomeno, da uno sviluppo della mentalità. Precedentemente all'era Meiji il Giappone si presentava come una società agraria di stampo feudale, in cui un proprietario terriero, il daimyo, possedeva al suo servizio dei contadini, di cui aveva assoluto controllo. Il cambiamento da società agricola a società industriale non intaccò minimamente questo rapporto, che rimase assai vivo nella mente dei lavoratori giapponesi. L'industriale divenne quindi il nuovo capo da servire e a cui dedicare la propria vita, l'industria un organismo al quale immolare ogni sforzo al fine di renderlo fiorente e produttivo. Grande influsso su una simile mentalità ebbero sicuramente i concetti di lealtà, responsabilità e sacrificio derivanti dal buddismo e dal confucianesimo. Nella società giapponese il singolo non aveva alcuna importanza di per sé, se non quella di appartenente ad un gruppo da servire, sia la famiglia, come l'azienda, come lo stato. Il Giappone divenne quindi una nazione particolarissima, caratterizzata da una moderna e fiorente industria e al contempo da una mentalità atavica e feudale.

Proprio questa peculiarità della struttura sociale giapponese può essere usata come punto di inizio per spiegare il fenomeno dei kamikaze nipponici durante la Seconda Guerra Mondiale.
Il termine kamikaze significa letteralmente "vento divino" e si collega ad un episodio della storia giapponese risalente al XIII secolo: durante la guerra contro i mongoli del Kublah Khan, in un momento quanto mai sfavorevole per l'esercito nipponico, un potente tifone spazzò via le armate mongole donando la vittoria al Giappone. Negli anni '40 del XX secolo, in un periodo altrettanto delicato per il popolo giapponese, si fa strada la speranza che il provvidenziale vento divino si ripresenti e conduca ancora una volta il paese alla vittoria. Ma questa volta il tifone non sarebbe stato portato dalla volontà divina, bensì da migliaia di giovani volontari pronti a sacrificare le proprie vite per il bene della patria. Così nel 1943, bloccatasi, in seguito alla battaglia di Guadalcanal (febbraio 1943), l'avanzata nipponica nel Pacifico, fino allora parsa inarrestabile, il Giappone decide di attuare una risposta estremamente dura all'offensiva americana. Sono stabilite, infatti, dopo intense consultazioni, le basi per la formazione di unità speciali d'attacco (in Giapponese Tokkatai, "Formazioni Particolari"), il cui scopo è quello di attuare azioni condotte da piloti che si fossero lanciati, assieme al loro aereo, su obiettivi strategici di grande importanza. Bisogna ricordare che la strategia dei kamikaze, nonostante l'utilizzo massiccio di questi bombe aeree (1228 aeroplani), con il conseguente sacrificio di migliaia di vite umane, si rivelò un vero fiasco, riuscendo ad abbattere o danneggiare solamente 322 navi americane. A spingere questi piloti suicidi potevano essere la ricerca di onore da portare alla famiglia, il patriottismo e il tentativo estremo di mettersi alla prova, altro tragico effetto dell'atomizzazione sociale teorizzata da Hannah Arendt.

Altra causa fondamentale dell'emergere di un simile fenomeno è la diffusione da parte dei vertici militari nipponici, durante gli anni '30, degli ideali e delle norme di vita dei Samurai, abilmente collegati alla filosofia scintoista e al suo culto degli antenati. Tale dottrina, metamorfizzata in una religione di stato, interferì con la vita dei cittadini giapponesi imprimendo nelle loro menti l'obbligo morale a dedicare anima e corpo alla patria e all'imperatore. Darsi volontariamente la morte divenne testimonianza di fedeltà nei confronti della nazione e di sacrificio per il bene della patria, un onore grazie al quale potersi congiungere agli spiriti gloriosi degli antenati. "Se andrò sul mare, il mio corpo tornerà sospinto dalle onde. Se il dovere mi porterà sui monti, un tappeto d'erba sarà la mia copertura funebre. Per la salvezza dell'Imperatore, non morirò in pace nella mia casa" [15].

Per concludere è possibile racchiudere i fattori esposte riguardo alla nascita dei kamikaze durante la Seconda Guerra Mondiale in tre cause principali:

  1. Il contesto culturale giapponese derivante dalle dottrine filosofiche buddiste che esaltano l'onore, la lealtà e il sacrificio.
  2. La difficile situazione militare in cui versava il Giappone nel 1943.
  3. L'utilizzo da parte dei vertici militari della religione come arma psicologica di massa.

 

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