- Fabrizio De André -
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Fabrzio De André - Non al denaro, non all'amore, né al cielo Non al denaro, non all'amore, né al cielo

Autore: Fabrizio De André
Genere: Musica italiana
Etichetta: Produttori Associati
Distribuzione: Ricordi
Data d'uscita: 1971
Voto: 9
1. La Collina - 2. Un Matto - 3. Un Giudice - 4. Un Blasfemo - 5. Un Malato di Cuore - 6. Un Medico - 7. Un Chimico - 8. Un Ottico - 9. Il Suonatore Jones
RECENSIONE
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Non al denaro, non all'amore né al cielo è un album scritto da De André in collaborazione con Giuseppe Bentivoglio. Esso riprende otto personaggi dipinti da Edgar Lee Masters (1869-1950) in "Antologia di Spoon River", raccolta di poesie pubblicata per la prima volta nel 1914 a puntate sul Reedy's Mirror, portata in Italia da Cesare Pavese e tradotta da Fernanda Pivano. "Spoon River Anthology" dava voce a centinaia di personaggi di provincia di tutti i ceti sociali, dal potentato locale al bottaio, narrando storie d'amore, di tradimenti, ingiustizie, dando al lettore un affresco della società del tempo con un tono di denuncia, fortemente innovativo per l'America del tempo. Per via della sua modernità non fu dapprima compreso, ma sempre per questa sua modernità, Fabrizio decise di riprenderlo in mano per il suo terzo concept-album, uno dei rarissimi tentativi di unire letteratura e musica in Italia.
L'album inizia con "Dormono sulla collina", composta su uno schema cullante e tenebroso al tempo stesso. In essa viene introdotto il tema: i personaggi di cui si parlerà "dormono, dormono sulla collina" sono i defunti di una città lungo il fiume Spoon (costantemente al centro dell'opera letteraria ma non di quella di Faber) che narrano ad uno spettatore immaginario che si aggira per il cimitero le loro vite, pensieri, parole, invidie e azioni come mai avevano potuto fare in vita. "Dove sono?" chiede insistentemente il pezzo, producendo intorno all'ascoltatore quasi una danza della morte che viene però spezzata dalla presentazione di Jones il Suonatore, sempre giovane, senza rimpianti e che mai si era fatto sopraffare dalla vita, praticando solamente la propria libertà. Jones, già qui si pone come figura risolutiva e quasi guardata con invidia per chi ha avuto il coraggio di fare una scelta forte di libertà impossibile agli occhi dell'uomo comune. "Lui sì", dice De André forse un po' autobiograficamente.
Il Matto (Frank Drummer) è il primo personaggio della prima delle due categorie presentate dall'artista genovese: gli invidiosi; egli era un uomo con un "mondo nel cuore" ma non in grado di esprimerlo e per questo da tutti considerato pazzo, il tipico scemo del villaggio, presente in ogni realtà di provincia. L'invidia per la gente "normale", che addosso a lui aveva posto questa maschera pirandelliana lo portò a tentare di espandere la propria conoscenza per non essere più deriso con un proposito del tutto folle: imparare l'enciclopedia Treccani a memoria (nel testo di Masters era l'Enciclopedia Britannica). Di fatto adeguandosi alla maschera postagli indosso dalla società, scegliendo la forma alla vita, per rimanere nella terminologia di Pirandello. Giunto a metà dell'enciclopedia (alla lettera M) si rende conto di aver solamente peggiorato la propria situazione e viene rinchiuso in un manicomio fino alla sua morte. Il personaggio anche dalla morte, da cui ci parla, non cambia, continua a inventare parole, e ad essere deriso dalla gente che ironizza su di lui, seppure qualcuno sente la sua mancanza forse per il senso di sicurezza che un pazzo in paese può dare.
Il Giudice (il Giudice Selah Lively) è un altro invidioso, per via della sua altezza sempre schernito da tutti, decide di riscattarsi e con tenacia "nelle notti insonni, vegliate al lume del rancore" studia per diventare procuratore e vi riesce con successo. Il nano può così godere della sua vendetta nei confronti della società che ora era costretta ad appellarsi a lui con il titolo di "Vostro Onore" e sulla quale aveva potere di vita e di morte. Gli restava a questo punto solamente di confrontarsi con Dio, verso cui si genufletteva, e qui l'ironia si fa sottile, non sapendo se fosse più o meno alto di lui.
Inutile negare l'evidente manifestazione dell'anarchico sentimento di avversità che Fabrizio aveva nei confronti dell'autorità, in particolar modo dei giudici che spesso nella sua produzione sono dipinti come uomini che assurgono a giudicare come Dio in persona, dirimendo il bene dal male, il giusto dall'ingiusto, in realtà, agli occhi dell'autore, molto più profondamente intrecciati se non del tutto indistinguibili.
Nella quarta traccia si presenta un Blasfemo (Wendell P. Bloyd), un uomo che fu ucciso da due guardie "a furia di botte" per reati secondari rispetto al quello che era stato il suo vero crimine: aver affermato che Dio aveva preso in giro l'uomo tentando di celargli l'esistenza del bene e del male (come si legge nel secondo capitolo della Genesi) e poi lo aveva punito con la morte. Ma rispetto al testo di Masters, De André aggiunge una strofa rendendo la situazione totalmente umana così "salvando Dio", estromettendolo. Infatti "è proprio qui sulla terra la mela proibita", l'ha inventata qualcuno per noi. Il concetto è chiaramente una metafora dell'uso strumentale che spesso la religione ha dovuto subire, o, ancor di più, probabilmente l'autore voleva parlare di tutte le convenzioni borghesi, di cui l'ordine costituito si deve servire per conservare il suo potere. Questo aspetto ha portato "Un Blasfemo" ad essere usata spesso (nel bene e nel male) per denunciare quando il potere, privo di leggi per condannare personaggi scomodi, li mette a tacere in maniera violenta.
L'ultimo degli invidiosi è colui che più d'ogni altro ne avrebbe il diritto, un Malato di Cuore (Francis Turner). Egli è privo di ogni limitazione sensoriale, è un uomo normale a tutti gli effetti, semplicemente la sua natura fisica lo porta a non poter vivere la vita appieno ma a doversi continuamente riposare e ad evitare gli eccessi. Facile è l'estensione alla situazione, non fisica ma psicologica, di molti di noi, limitati dalle paure sempre presenti nella nostra vita. Ebbene, tra gli invidiosi il malato di cuore è l'unico vincitore, perché ha superato le sue paure, ha scelto la vita, la libertà, pur sapendo che sarebbe stata la sua ultima scelta, come l'ebbrezza di un tuffo nel vuoto, dove il corpo arrivato al fondo, giace sulla collina, ma l'anima non si sente di "sognare con loro", con gli altri invidiosi. Da notare è la dolcezza, l'intensità e il coinvolgimento che la voce di Fabrizio è in grado di donare all'ascoltare quando narra del tremante amore adolescenziale del protagonista verso la sua amata, la luce sfumante, l'intimità delle carezze, il desiderio delle cosce color madreperla e l'impeto di quel "ma che la baciai - per Dio! - sì lo ricordo!".
Un Medico (Il dottor Siegfried Iseman) introduce gli uomini di scienza, "classico prodotto del progresso, che purtroppo è ancora nella mani di quel potere che crea l'invidia", per usare le parole del cantautore. Il medico è un personaggio che non cresce mai (di "elisir di giovinezza" parla la canzone), che innocentemente crede di poter offrire la sua conoscenza al servizio del più sfortunato senza badare al compenso economico, rifiuta di farsi infettare da una società, e così i suoi colleghi approfittano di questa sua ingenuità fino a portarlo ad avere il disprezzo della sua famiglia, ad essere giudicato e infine condannato come imbroglione. Come il blasfemo, il medico, seppur in un ottica molto più cristiana (almeno secondo le parole di Masters), è un personaggio scomodo alla società, o comunque al di fuori dalla sua logica puramente utilitaristica, e poiché egli non in grado di immergervisi, di scendere a patti, ne viene ben presto estromesso, come il Blasfemo. Ritorna anche il tema del giudice, che ha una "faccia da uomo", contrapposta al giudizio che avrebbe dato Dio.
Il secondo uomo di scienza è il Chimico (Trainor, il farmacista), che si presenta come colui che passa gran parte del suo tempo su libri dove tutto è chiaro, semplice, quadra alla perfezione, nulla (o solo parti secondarie) sfuggono a una stringente logica che permette di sapere anticipatamente come si evolveranno gli eventi. E poi quest'uomo alza la testa dai libri e vede la realtà contraddittoria, dove uomini e donne si combinano generando reazioni impreviste e spesso devastanti e così impaurito da questo fatto, il chimico, decide di non sposarsi mai. Tuttavia la sua fine è simile a quella che tocca alle persone che più non capiva, "gli idioti che muoion d'amore": è morto in un esperimento sbagliato, in due elementi che mischiandosi hanno generato distruzione. E se prima lo scienziato chiedeva "cosa c'è di diverso nel vostro morire?", infine riconosce che qualcuno potrebbe dire che c'è un modo migliore, che valeva la pena provare. Nel Chimico si può forse leggere un personaggio antitetico al Malato di Cuore, che ha osato vivere appieno ignorando il rischio certo.
L'Ottico (Dippold, l'ottico) conclude gli uomini di scienza. Egli vuole "solo clienti speciali", usa la scienza per trasformare la realtà in un'allucinazione, in un giocattolo, in una visione onirica. "Non più ottico ma spacciatore di lenti" dice il testo, con evidente il riferimento agli stupefacenti. Anche in questo caso per comprendere al meglio il messaggio che De André voleva lanciarci bisogna allargare il contesto: le droghe che la scienza (sempre subordinata a quel potere "che genera invidia") ci propone sono forse la pubblicità, la televisione, i reality show, l'ultimo gadget tecnologico e così via. L'ottico è colui che proponendoci tutte queste cose tenta di riempire la vita del cliente tramite allucinazioni che lo illudono di possedere la felicità. Ma la felicità, per la sua fuggevolezza, non si possiede.
Infine c'è Jones, il suonatore di flauto (di violino nella versione di Masters), colui che dà il titolo all'album stesso, un uomo che non pensò mai né al denaro, né all'amore, né al cielo, vivendo semplicemente seguendo i propri desideri, in totale libertà e in assenza di qualsiasi vincolo tipico della società borghese. Ad esempio il vortice di polvere che per gli altri significava l'arrivo della siccità, per l'occhio sognante e artistico di Jones richiamava la gonna di una ragazza vista anni prima ballare. E così per la terra che possedeva, alla quale mai si dedicò ("non ho mai cominciato ad arare in vita mia", diceva Masters) perché la vibrazione musicale che produceva nel suo cuore era perfetta così, non necessitava d'altro. Poi c'è la libertà, dipinta da De André, come sopita nella vita di chi si dedica al cielo, all'amore o al denaro; sopita, ma non morta, non distrutta, come a indicare che essa giace lì, sempre presente, come una voglia che quei tre elementi devono mantenere soppressa e per i quali è una spina nel fianco ("protetta da un filo spinato"). Per Jones, la libertà si svegliava ogni volta che sceglieva di abbandonare il campo e di suonare "a una danza o a una merenda" (dalla poesia dell'Antologia). Così si giunge alla fine della vita del musicista, con i suoi campi in rovina, il suo strumento rotto, ma felice, soddisfatto, ridente, pieno d'esperienze ma soprattutto senza l'ombra d'un rimpianto. La canzone si conclude con un sottofondo angelico, quasi come Jones fosse giunto in Paradiso.
Jones è il personaggio chiave e risolutivo dell'opera, non ha nulla da invidiare perché ha sempre fatto tutto ciò che desiderava, e non importa se in vecchiaia il suo flauto si sia rotto, perché ne è valsa la pena. Ha lucidamente evitato di inserirsi nella società borghese, le cui insidie hanno incarcerato il Medico, ha ignorato la paura che la scienza ci pone di fronte (come i vortici di polvere) di cui il Chimico avrebbe probabilmente temuto, ha bevuto senza interruzione al calice della vita come il Malato di Cuore ha provato a fare (perdendo la vita) e l'ha con pura semplicità senza i mezzi allucinogeni dell'Ottico.
Jones è l'uomo che ha avuto il coraggio di scegliere la libertà, senza paura, è l'uomo che ognuno invidia, che ha avuto il coraggio di rinunciare a tutto per seguire la propria passione. È colui che non ha mai abbandonato le sue aspirazioni giovanili, e non ha sacrificato le proprie aspirazioni più intime per il denaro. A questo personaggio semplice e pratico ma al contempo così raro e irrealizzabile, De André, musicista di professione, certamente aspirava, e, forse, non solo lui.
 

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