- Blind Guardian -
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Blind Guardian - Somewhere Far Beyond Somewhere Far Beyond

Gruppo: Blind Guardian
Genere: Power Metal
Etichetta: Virgin
Durata: 55:33
Data d'uscita: 1992
Voto: 7,5
1. Time What Is Time - 2. Journey Through the Dark - 3. Black Chamber - 4. Theatre of Pain - 5. The Quest for Tanelord - 6. Ashes to Ashes - 7. The Bard's Song – In the Forest - 8. The Bard's Song – The Hobbit - 9. The Piper's Calling - 10. Somewhere Far Beyond - 11. Spread your Wings - 12. Trial by Fire - 13. Theatre of Pain [Classic Version]
RECENSIONE
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Il power è un tipo di metal che troppo spesso ha propinato gruppi identici gli uni agli altri, che in troppe occasioni ha vissuto della rendita di tre o quattro cliché riproposti pedissequamente senza alcuna originalità e nel quale non si contano le formazioni messe su appunto per speculare sulla popolarità del genere; eppure, come spesso accade, laddove le capacità e il gusto siano realmente presenti, i gruppi veri, seri e, soprattutto, geniali riescono comunque ad emergere dalla massa, a farsi notare, a distinguersi. I Blind Guardian appartengono a questa categoria. Il primo lavoro di questi tedeschi ("Battalions of Fear", datato 1988) mostra un'attitudine vicina agli Helloween di "Walls of Jericho", una specie di miscela fra thrash e Judas Priest arricchita di refrain facilmente memorizzabili ed epicheggianti; la maturazione tuttavia è rapida e porta da subito buoni frutti: i Guardian approfondiscono la loro passione per l'immaginario fantasy d'autore (Tolkien in particolare) ed evolvono adeguatamente la propria proposta musicale, rendendo il tutto più melodico ed epico ma al tempo stesso mantenendo un sound grezzo e diretto (soprattutto per ritmiche e riff) non lontano dal thrash classico. Questo cambiamento inizia a farsi sentire con lo splendido "Tales from the Twilight World", del 1990, ma si rende ben manifesto solo con questo "Somewhere Far Beyond" (1992) , un disco che ha di fatto lanciato il power come genere e che, insieme ai successivi "Immaginations from the Other Side" e "Nightfall in the Middle-Earth", fa parte di un trittico di capolavori che entrano di diritto nella storia di tutto il metal. Il connubio fra le atmosfere epiche/decadenti e l'impatto diretto delle radici pseudo-thrash emerge qui in tutta la sua chiarezza, riuscendo nel compito di forgiare un lavoro davvero unico nel suo genere. L'opener "Time What is Time" parla chiaro in merito; introdotta da un delicato arpeggio acustico, spezzato da un riff assassino, mostra una struttura veloce e dirompente, sorretta dalla doppia cassa del fenomenale Thomas Stauch (uno dei batteristi più capaci e sottovalutati di tutto il metal) e da un coro da lasciare senza fiato. Ancora più devastante risulta la successiva "Journey Through the Dark", anche questa pesante come un panzer, velocissima nell'incedere, dal refrain apocalittico, la cui violenza viene mitigata dalla successiva, delicata "Black Chamber", breve intermezzo per sola voce e piano. Hansi Kursch non è certo un cantante professionista, ma la sua voce calda e robusta diviene da subito un apprezzato marchio di fabbrica per questa formazione, così come i suoi testi, davvero degni di nota nell'ambito di un genere che non va molto al di là dei cliché legati a spadoni, draghi e onore; niente (o poco) di tutto questo troverete nelle liriche del guardiano cieco, molto più introspettive ed intimiste, che laddove trattano di fantasy lo fanno in maniera originale e con riferimenti assai più acuti alla letteratura del settore. Proseguendo nell'ascolto, ulteriore gemma del disco è "Theatre of Pain", meno frenetica e arricchita da arrangiamenti orchestrali molto ben fatti, mentre si ritorna allo speed metal con le successive "The Quest for Tanelord" (il solo centrale è suonato da Kai Hansen) e "Ashes to Ashes". "The Bard's Song – In the Forest" non ha quasi bisogno di presentazioni, trattandosi di uno degli inni assoluti dei Blind Guardian, eseguita costantemente in tutti i concerti del gruppo e cantata a squarciagola dal pubblico; trattasi, per chi non la conoscesse, di un pezzo interamente per chitarre acustiche e voce, le cui atmosfere fra il folk e l'epico hanno fatto scuola a generazioni di band. Segue "The Bard Song – The Hobbit", il cui testo è ispirato all'opera di Tolkien "Lo Hobbit" (l'antefatto del "Signore degli Anelli") , che rischia di passare inosservata in mezzo a tanta magnificenza e che invece rappresenta uno dei migliori episodi del gruppo, grazie al suo incedere lento e al bellissimo coro che la sorregge. Da notare, per inciso, che l'amore dei Guardian per le opere di J. R. R. Tolkien risale ad almeno dieci anni prima che questa divenisse una moda mondiale: quando si dice "Leaders, Not Followers"... A chiudere l'opera ci pensa la stratosferica title-track, quasi otto minuti di tempi tiratissimi e passaggi epici che ci portano attraverso terre lontane e atmosfere misteriose; ancora una volta i quattro bardi stupiscono l'ascoltatore con un pezzo unico, degna conclusione di un lavoro che non conosce punti deboli.
La produzione rappresenta un discorso che va affrontato a parte; autori di una serie di dischi quasi tutti di grande qualità, i Guardian hanno sempre optato per un tipo di produzione davvero particolare, ma, per certi versi, non sempre apprezzata. Se infatti il suono della batteria in numerosi lavori (compreso "Somewhere...") è discutibile (e con Stauch dietro le pelli questo è davvero un peccato) , va detto anche che, in compenso, da sempre molto ricercato è stato il lavoro delle due asce Siepen e Olbrich, due musicisti che hanno definito nel corso degli anni uno stile e un suono rimasti ineguagliati ed inimitati; d'altro canto, sempre a scapito della sezione ritmica è stata la scelta di non avvalersi di un bassista professionale, lasciando l'ingrato compito allo stesso Kursch (che non è certo un maestro dello strumento) e mixando il tutto in modo da nascondere eventuali imperfezioni. Insomma, trovandomi qui a dare un giudizio, penso che un occhio di riguardo in più per la sezione ritmica (a livello di mix per la batteria e di mera esecuzione per il basso) non avrebbe fatto male, ma questa è ovviamente un'opinione personale. "Somewhere Far Beyond" rimane un capolavoro da riscoprire obbligatoriamente.
 


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