- Burzum -
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Burzum - Daudi Baldrs Daudi Baldrs

Gruppo: Burzum
Genere: Dark Ambient
Etichetta: Misantrophy Records / Cymophane Productions
Data d'uscita: 1997
Voto: 4,5

1. Daudi Baldrs - 2. Hermodr A Helferd - 3. Balferd Baldrs - 4. I Heimr Heljar - 5. Illa Tithandi - 6. Moti Ragnarokum
 
RECENSIONE



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In poche parole, il disco che nessuno si sarebbe mai aspettato. Un po' per la notevole diversità rispetto ai precedenti dischi di Burzum, un po' per la sua bassa qualità.
Il disco, realizzato completamente in prigione, forse denota un calo della creatività di Varg, cosa che però verrà smentita con Hlidskjalf.
Difficile collocare "Daudi Baldrs" in un genere: "ambient" è una definizione troppo generica e forse lontana. D'altronde le caratteristiche di questo disco sono più simili a un gruppo di tracce midi adatte per un videogioco di parecchi anni fa. Proprio questo fa abbassare la qualità di "Daudi Baldrs", le composizioni sono caratterizzate dalla stessa ipnotica ripetività dei brani di Burzum, in questo caso esageratamente prolissa e noiosa. La qualità del suono è bassa, caratteristica ad ogni modo tipica degli album di Vikernes, peccato però che in questo caso la pochezza del suono sia lontana dalla tipica atmosfera e più simile in realtà a una registrazione di midi.
A motivare questa bassa resa, la possibilità del solo uso del sintetizzatore, e il fatto che il disco fosse stato pensato diversamente. La musica avrebbe dovuto fare da sottofondo a una voce narrante il mito nordico della morte del dio Baldr ("Daudi Baldrs", appunto). Tuttavia, le autorità norvegesi hanno impedito a Varg di usare un microfono, pertanto il disco è solo strumentale.
Un'analisi di ogni pezzo è superflua, visto che le lunghissime "Daudi Baldrs", "Balferd Baldrs" e "Illa Tithandi" sono oltremodo prolisse e monotone, e le due "I Heimr Heljar" e "Hermodr A Helferd", nonostante la loro breve durata, appaiono all'ascoltatore ben più lunghe di quel che sono. L'unico brano che salva un po' il disco è la comunque lunga "Moti Ragnarokum", che chiude l'album e mantiene, seppur debolmente, quell'atmosfera che da sempre ha contraddistinto le creazioni di Varg Vikernes: a una intro di solo pianoforte si aggiungono presto archi e timpani che rendono la composizione varia e altisonante, creando una musica ricca di pathos.
 


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