- Magic Gladius -
 
IV GIORNATA
 Proteggere quello che era il mio popolo (protagonista: Aran, primo guerriero di fanteria del Regno di Montrak)

Magic Gladius
 

Proteggere quello che era il mio popolo

Piccoli suoni di canne di bambù si diffondono lenti come a porre quesiti insoluti al guerriero. Una lunga marcia si prostra strisciando lenta di fronte alla possenza dei colli verdi di Montrak.

Cadetto Isti - "Sarà una lunga marcia questa, si dice che affronteremo creature senza volto, ma dimmi, ormai ci conosciamo da mesi, con la tua abilità in battaglia avresti potuto entrare nei Gruppi Scelti perchè stai qui in fanteria e ti offri ogni volta di aprire le fila?"

Aran - "L'onore del mio popolo scorre nelle mie membra, lo scudo di mio padre, del padre di mio padre è nelle mie mani, tutto in me si dispone per il cielo a formare, con il mio sangue, una difesa per la mia terra. Ogni segno mi ricorda che sono sopravvissuto, che ho combattuto e vinto tante battaglie, io e i miei fratelli, io e i miei antenati che dalla Volta stellata osservano e guidano le mie scelte, mi aiutano a colmare il mio debito con una morte che non ho mai potuto abbracciare.

Adopero me stesso per poter tornare un giorno al mio villaggio, reclinare lo scudo, piantare le armi nel terreno e urlare 'Saknji tele, tale pè tamà, anju sndè ousteknò!' che nel dialetto Borde significa 'Allegro mostrati, mostrati mio popolo, sono tornato morto per vederti libero!'. Ora capisci perchè metto la mia corsa di fronte a centinaia di lame che vorrebbero poggiare rapide sul mio cuore? Perchè porto un popolo sotto lo scudo, tutti quanti facciamo parte di un grande Tutto!

Difendo gli alberi che ci danno frutta e ombra, i fiumi che ci offrono di che bere e pescare, le rocce e gli animali, un tempo, tutti miei consanguinei. Tutto è terra e acqua, ciò che sta fuori è mistero e male, oscurità, silenzio e paura, questo è Contro. Lotto senza sosta, non posso smettere. Solo la morte che attendo ormai da lungo tempo placherà la mia ingiusta sete di sangue. - Sorridendo - Ma tu sei un ragazzino, non puoi capire l'oscurità che mi avvolge."

Cadetto Isti - Con sguardo pieno di ammirazione - "Le tue parole non possono che riempirmi di coraggio. Anche se sembri avere pressochè la mia età parli come un saggio anziano di Montrak... Ti prego dimmi perchè un cuore puro come il tuo si dipinge come spirito inquieto? Qual è l'oscurità che ti avvolge? Se vorrai farti ascoltare, le tue parole renderanno meno penoso questo viaggio..."

Aran - "Davvero vuoi sapere qual è la mia storia? Cambieranno molte cose dopo che ti avrò fatto partecipe del mio vissuto."

Cadetto Isti - "Sono un combattente degli Uomini Liberi, ho visto tante cose e poco mi spaventa..."

Aran - "Va bene. Voglio soddisfare la tua sete di conoscenza."

Cadetto Isti - "Ti ascolto, la mia amicizia come il vento che da secoli soffia su Montrak non potrà cambiare direzione."

Aran - "Già, dicono tutti così prima... Sediamoci, aspetteremo la coda dell'armata."

Il guerriero si siede su una pietra coperta di muschio e, dopo un profondo respiro, inizia a raccontare:

Aran - "Parecchie lune fa ero nel mio villaggio e di ritorno dal pascolo custodivo la casa in attesa del ritorno di mio padre... Avevo all'incirca la tua età... Tre uomini con il volto cupo e assorto mi chiesero ospitalità, sacra dalle mie parti, gliela offrii senza indugio.

Sedettero immobili di fronte al camino scoppiettante, vicino, molto vicino, il loro respiro era denso e al freddo prendeva quasi consistenza. In quel mentre non seppi dire se era il gelo e il rigore del tempo a far loro quasi sfiorare quelle calde lingue scoppiettanti.

Fu il loro sguardo furtivo a farmi venire i primi sospetti, quando poi il fuoco iniziò ad affievolirsi mi resi conto di essere in pericolo. Il primo pensiero fu verso i miei familiari, tentai così di raggiungere il fienile dove stavano per fare ritorno dal paese.

Non feci in tempo a raggiungere la porta che uno di loro mi fu davanti, era veloce. Non era un semplice soldato era un non-morto, di casta elevata direi ora, mi toccò con la mano gelida e mi sussurrò parole che non potrò mai dimenticare: 'non devi temere perchè ora avrai tutto ciò che il tempo ti avrebbe impedito di avere, ti porteremo nel Corridoio Eterno'. Ero paralizzato dal terrore. Mi avviluppò come nessun essere avrebbe potuto fare, mi costrinse al muro, azzannò il mio collo e grondante di sangue, sorrise soddisfatto, la vista mi si appannò e perdetti i sensi.

Il mattino seguente mi risvegliai nel mio letto, c'era mia madre ad asciugarmi la fronte. Quando vide i miei occhi aprirsi fece un sospiro di sollievo e si passò una mano sulla fronte come era solita fare. Pensai di aver sognato, di certo era tutta immaginazione. Ma una strana sensazione iniziò a provocarmi forti crampi prima al petto e poi allo stomaco, mi contorcevo, ricordo in periodi di carestia di aver provato qualcosa del genere ma c'era un che di insolito.

Iniziai a sudare. Avvertii forti e chiari come se fossero davanti a me gli zoccoli di mio padre appoggiarsi sul terreno, mi alzai dal letto e vidi dalla finestra che in realtà era ancora ad una certa distanza. Toccai il mio collo e sentii un grande sollievo quando non trovai segni di denti. Era stato davvero un sogno. Improvvisamente udii in lontananza tamburi battenti ritmi di battaglia, corsi allora fuori di casa e richiamai l'attenzione del mio vecchio agitando le braccia.

Dietro di lui una pattuglia di fanteria leggera con lo stendardo del Regno Nero, si mostrava rapida all'orizzonte. Erano in quattro, corsi trafelato verso mio padre e senza pensarci due volte me lo caricai in spalla, corsi, corsi con tutte le mie forze fino a a quando raggiunsi la casa. Non ero stanco, ma in quel momento non me ne resi conto, ero troppo agitato per accorgermene. Sprangarmi la porta alle spalle fu un vero sollievo. Credevo che chiudendo gli occhi avrei scacciato questo secondo incubo.

Passarono pochi attimi e dalla porta a cui ero saldamente appoggiato penetrò sibilando una lama. Mi tagliò al fianco sinistro. Provai dolore. Vidi sangue, il mio sangue. Sentii ribollire di calore e piacere ogni parte del mio corpo. Desiderai intensamente di vederne dell'altro, mi tremarono le labbra, le pupille mi si rivoltarono verso l'alto, eppure ci vedevo, tutto accadde un pochi istanti. Afferrai la lama mentre il soldato la stava ritraendo e. con forza inaspettata. lo tirai dentro la stanzetta scardinando letteralmente la porta dagli stipiti. Iniziai a colpirlo con il manico della spada sulla testa e sulle spalle. Un colpo, due, tre una forza mai posseduta. Morì al primo fendente ma non ne ebbi la cognizione. Ridevo follemente. Allarmati i compagni dell'uomo piombarono di soprassalto nella baracca. L'istinto mi disse di aggrapparmi al trave del soffitto, lanciai la spada e colpii dritto in un occhio uno dei presenti, sbraitavo. La mia ira e la mia eccitazione salivano di pari passo, la mia pelle vibrava, i muscoli si contraevano a rapidi spasmi.

Quel che successe dopo fatico a raccontarlo.

Ricordo solo di aver perso di nuovo i sensi. Ore dopo mi risvegliai. Mia madre, mia sorella, mio padre erano morti strangolati e io coperto del sangue dei soldati e del loro. L'orrore... Riuscivo a vederlo distintamente. Piansi, feci cadere tutto quanto mi stava intorno, urlai così forte che persino il cielo sussultò. Avevo bevuto dal pavimento il sangue del mio sangue, ero diventato una creatura oscura, maledissi l'essere che mi aveva fatto diventare l'uccisore di chi mi era più caro. Maledissi tutto e tutti. Giurai vendetta contro tutto ciò che non apparteneva al mio popolo. Primo fra tutti: me stesso.

Disteso sui cadaveri, pensai a lungo. Dall'abisso in cui mi trovavo: decisi. Nessuno doveva sapere, nessuno doveva sospettare che non ero più umano. Abbandonai tutto quanto.

Iniziai a viaggiare, a bere per nascondere il mio pallore e ad approfondire le nuove capacità che mio malgrado avevo acquisito. Imparai a leggere e a scrivere. In solitudine iniziai ad apprezzare le vastità degli equilibri della natura e di nascosto ad osservare la vita della gente pacifica.

Per placare la mia coscienza mi nutrivo solo del sangue dei criminali che portavano il male nei villaggi della mia terra. Bevevo solo sangue versato, non osavo mordere nessuno. In seguito, quando il Regno Nero entrò in aperto conflitto con Montrak, mi arruolai nell'esercito di Uomini Liberi e potei dare sfogo ad ogni mio desiderio di nutrimento. In fanteria ero libero da ogni controllo. Ad ogni scontro bevevo più sangue e diventavo sempre più potente. In battaglia capii però di non essere del tutto invulnerabile, con grande stupore vidi cicatrici che non si rigeneravano completamente.

A Methymna ebbi poi accesso alla biblioteca più vasta delle regioni a sud dell'impero di Sollus. Trovai verità e leggende a riguardo del mio "maleficio" ma la cosa più interessante fu il fatto che esistevano sciamani nel Regno degli oceani in grado di liberarmi dalla condizione che ormai pesava sempre più sulla mia esistenza..."

Cadetto Isti - Impallidito - "Tu mi stai dicendo... Tu sei... Sei uno di loro!"

Aran - Con occhi freddi - "Sai mantenere un segreto?"

Cadetto Isti - "Io... Non posso... Per..."

Aran - Determinato - "Non costringermi ad ucciderti... Combatto per quello che era il mio popolo... Quando questa guerra sarà finita anche io porrò fine alla mia esistenza."

Cadetto Isti - "Sei un... Immortale? Cosa, dove... Un vampiro!"

Aran - "Credimi se ti dico che moriranno molti uomini se svelerai adesso il mio passato..."

Cadetto Isti - Alzandosi agitatamente in piedi e fuggendo - "Va... Bene... Ma io ti terrò d'occhio, sappilo, sappilo!"

Aran - Ormai solo - "Certo... E io veglierò su di te... Ragazzo."

CONTINUA...

 

 
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