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Articolo
Primo libro di novelle, ma anche fonte inesauribile di temi, situazioni e personaggi, oltre che modello di prosa letteraria d'invenzione, il Decameron rappresenta uno spettacolare affresco del mondo e del tempo in cui vive l'autore, Giovanni Boccaccio. L'opera offre, infatti, un significativo panorama degli essenziali momenti storici che hanno caratterizzato la prima metà del Trecento, dall'ascesa del nuovo ceto mercantile, alla crisi economica, finanziaria e sociale, alle sciagure e alle calamità, come, ad esempio, la peste del 1348, tema di primaria importanza e cornice nel manoscritto. La vicenda trattata ha come protagonisti dieci giovani aristocratici fiorentini che, per sfuggire alla peste, si rifugiano sulle colline fiesolane. Qui, per passare il tempo, i ragazzi ballano, cantano e, soprattutto, si raccontano dieci novelle al giorno, per dieci giorni. La peste rappresenta la crisi, la distruzione e il disfacimento degli uomini che, di fronte alla morte, abbandonano ogni morale. L'incontro casuale dei dieci giovani e la loro decisione di fuggire insieme da una città priva di ogni ordine civile e morale rappresenta una via d'uscita e un modo per rinascere. Se la peste segna la fine di un mondo, la brigata segna l'inizio di un altro. La scelta stessa del luogo ove i giovani trovano rifugio non è un caso: le colline fiesolane vengono descritte da Boccaccio come luoghi dai tratti caratteristici del locus amoenus, o "luogo ameno", un tópos di ascendenza classica, caratterizzato da armonia e bellezza, una sorta di "paradiso terrestre", come arriva ad affermare l'autore stesso. In questo eden, sospeso e lontano dalla realtà, si frantuma lo spaventoso scenario della peste. Solo qui i giovani possono superare la drammatica esperienza, recuperare un ordine e, finalmente, pensare a una rinascita. La scelta di passare la giornata a far musica, a cantare e a parlare d'amore in un giardino, piacevole e fresco, durante le ore più calde della giornata, rientra nello stile e nei comportamenti tramandati dalla cultura cortese. In questo giardino paradisiaco, sottratto quasi per incanto alla morte e al potere distruttivo della peste, i dieci giovani riescono a ricostruire modello e forme di quella raffinata cultura andata persa nel tempo. I ragazzi riescono così a rilanciare le ragioni di una nuova morale contro la dispersione di ogni senso di civiltà e contro la morte. Essi non solo sopravvivono ma ricostruiscono e ristabiliscono le basi per tornare a Firenze, rinnovati interiormente. L'esperienza letteraria diviene perciò un mezzo per affrontare nuovamente la vita dopo l'evento apocalittico della peste. Inoltre raccontare diventa un'occasione per meditare sulle cose del mondo e degli uomini. La parola acquista nel Decameron un potere sorprendente, poiché attraverso essa si inventa e si ragiona. E infatti i giovani raccontano e commentano, intrecciando alle novelle nuove riflessioni. Il dialogo, costruttivo e diretto, permette loro di rielaborare il contenuto delle novelle e di ripercorrere, attraverso gli esempi dei vizi e delle virtù dei protagonisti, i grandi valori laici, fondati sull'intelligenza e sulla tolleranza. Raccontare, infine, è anche un gioco: la rinascita di questo gruppo di sopravvissuti avviene in una dimensione mondana, laica e materialista, che si concretizza nel piacere del cibo, della danza, del canto e dei racconti provocatori e salaci. I giovani, però, come nella conclusione della decima giornata paradossalmente afferma Dioneo, il più cinico e il più trasgressivo narratore della brigata, nonostante la totale libertà di cui godono, non trascendono mai le regole che si sono dati e i loro comportamenti rimangono nei confini di un'ideale vita comunitaria, basata sull'ordine e sull'equilibrio. Onestà, armonia e amicizia fraterna sono quindi i valori che hanno guidato la loro rinascita e che daranno loro la forza di tornare a Firenze. Valori che si aggiungono alle virtù cortesi per eccellenza, come la magnanimità e la generosità, celebrate nella decima e ultima giornata. Sono queste, dunque, le virtù che i giovani della brigata hanno scelto di preservare dalla distruzione e dalla morte. Il Decameron è quindi testimonianza della venerazione e ammirazione - da sempre nutrita da Boccaccio - e dell'impegno militante verso Durante Alighieri, al cui stile formale e contenutistico sempre si attiene, come dimostra innanzitutto il sottotitolo dell'opera stessa, "prencipe galeotto". Con esso, infatti, l'autore riprende la Divina Commedia dell'Alighieri e, in particolare, il canto V dell'inferno, in cui viene denominato "galeotto" -dal personaggio Galeotto del romanzo francese, intermediario e fautore dell'amore tre Lancillotto e Ginevra- il libro che Paolo e Francesca leggono "per diletto". Questa esplicita citazione non solo suona come un devoto omaggio al testo dantesco, ma colloca anche l'opera nella categoria letteraria della letteratura per diletto, inaugurata dei romanzi cortesi e cavallereschi d'oltralpe. D'altra parte, sebbene l'idea del percorso di formazione sia ripresa da Dante, Boccaccio sviluppa nel Decameron anche temi rinascimentali. Tra questi pienamente si riconosce la visione laica, nonché una leggera critica alla chiesa, anch'essa travolta in quel periodo da una degenerazione dei costumi, e il riconoscimento dell'ingegno dell'individuo: l'uomo si salva poiché, quando la Fortuna gli porge un'occasione, egli sa prenderla al volo, senza, quindi, l'intervento di Dio.
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