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Dopo il successo mondiale di "Bowling a Columbine", sulla irrazionale diffusione di armi negli Stati Uniti, l'acuto Michael Moore si dedica a un tema quanto mai spinoso e attuale: il post 11 settembre. Il suo documentario, esplicitamente di parte, si prefigge di fare contro-informazione denunciando i loschi traffici di Bush (George padre nell'ombra, George figlio sotto i riflettori) e del suo staff per difendere i propri interessi personali piuttosto che quelli dei cittadini da cui ha, pardon avrebbe, ricevuto mandato presidenziale. Il punto di partenza è infatti la contestata elezione con cui, per una manciata di discutibili voti, Gore fu sconfitto da Bush. Per poi passare alla tragedia dell'attentato al World Trade Center e a tutti i giochi di potere successivi, fino alla politica del terrore costruita a tavolino per giustificare guerre contro regimi dittatoriali lontani, tra le cui gravi colpe la più cruciale è il prezioso oro nero da cui dipendono sempre più le sorti del mondo. Questa è la trama. Nient'altro. Questo nuovo film documentario di Michael Moore, questo Beppe Grillo, meno acuto, meno caustico e incisivo ma anche più comunicativo e demagogico, d'america. Già perché lo stesso Moore, simbolo di una sinistra che in Italia (dato che solo qua esiste) chiameremmo movimentista, girotondista finisce per essere lui stesso simbolo dell'america che tanto odia. Già, quell'america obesa, figlia di McDonalds, egocentrica e qualunquista, figlia dei media e di tutto ciò che è mediatico. Tutto il documentario è basato sulla contrapposizione tra Bush e Moore, alfiere della liberta illusoria uno e novello Laoconte l'altro. Moore è stupito di come il mondo non si possa accorgere della bestialità tremenda di Bush, del suo comportamento criminoso e tenta di palesarci ogni sua malefatta. Insomma il film è inguardabile e sconsigliabile dal punto di vista contenutistico, senza una buona coscienza critica, zeppo di errori e demagogia ma indubbiamente si riscatta dal punto di vista filmico.
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