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Giovedì 13 gennaio 2005 - 17.06.29
Leopardi: tra descrizione, vicenda e riflessione
Uno degli aspetti più rilevanti della poetica leopardiana
Tutta la produzione leopardiana è improntata da uno stretto rapporto di vicendevole esaltazione tra immaginazione e ragionamento, tra poesia e filosofia.
Nel leggere questo grande dell'ottocento raramente ci si trova di fronte a opere del tutto poetiche ("la Ginestra, o il fiore del deserto") o ad opere prettamente dedicate alla filosofia (ad esempio lo "Zibaldone"); difatti, Leopardi, date le "direzioni negative" del suo pensiero, non è stato identificato unicamente come poeta ma addirittura come "filosofo precursore" dei successivi Nietzsche, Schopenahuer, ecc..
Alla base di tutto ciò sta la sua immensa personalità multiforme che implode in genialità uscendo dalle righe: "Poesia o filosofia? Positivismo immaginario o pessimismo puro? Romanticismo o classicismo?". L'entità della variegata intuizione del Leopardi non è insomma definibile con schemi comuni.
Sebbene non sia lecito "sminuire" composizioni artistiche di questo calibro con semplificazioni e strutturazioni, per avvalorare la suddetta tesi può essere utile prendere in analisi poesie come "Alla luna" dove, in un armonioso susseguirsi di versi endecasillabi, il soggetto della poesia "cambia colore" e da descrizione ("O graziosa luna") a vicenda ("Io venia pien d'angoscia a rimirarti") si evolve al fine in riflessione pessimistica ("ancor che triste, l'affanno duri").
Un altro interessante esempio della suddetta ipotetica "sovrapposizione cangiante" è leggibile tra le righe del celeberrimo componimento "L'Infinito": descrizione paesaggistica "Sempre caro mi fu quest'ermo colle [...]", vicenda personale "Ma sedendo [...] io nel pensier mi fingo" e riflessione (anche se non propriamente pessimistica) "E il naufragar m'è dolce in questo mare".
Nell'infinito dell'immaginario Leopardi, stanco dei limiti controversi della natura "matrigna", trova quel topos letterario del locus amenus nel "naufragar m'è dolce" nel mare cioè dell'indefinito romantico.
La sensazione che Leopardi riesce a trasmettere al lettore è quella dell'amaro distacco dalla realtà che però, nel suo pessimismo dà luogo all'ispirazione poetica di cui egli stesso gode: l'illuminazione tramite la sofferenza. Il poeta con questa poetica triparta riesce a dare il via ad una visione d'insieme che è appunto qualcosa di indefinito, privo di linee di contorno: l'infinito.
Un' altra simile possibile sovrapposizione si può applicare su "La sera del dì di festa": descrizione "Dolce e chiara è la notte e senza vento [...]", vicenda personale "io questo ciel [...] che mi fece all'affanno" ed infine riflessione "Or dov'è il suono di que' popoli antichi? [...]".
Leopardi riesce in conclusione a far cogliere, tramite la sopra citata esaltazione reciproca e vicendevole (dei tre elementi), una stupefacente unità di significato tra poesia, soggettività e filosofia.

 

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