- Albert Camus: Caligola -
 

Albert camus: il Caligola
 
CALIGOLA, IL POTERE

L'imperatore romano e la sua lucida follia, che lo renderà vittima della congiura di corte, sono il magma su cui si muove "Caligola", opera teatrale di Albert Camus. Egli lavorò a questo testo dal 1937 al 1958, in una rielaborazione durata quasi tutta una vita, con numerose e importanti edizioni teatrali. La figura dell'imperatore vive un'eroica e grottesca sfida con la realtà, che si svolge tra il desiderio di impossibile - Ho bisogno della luna - e  il suo potere, che gli fa dire: - Oggi non mi rimane altro che questo futile potere, di cui tu parli. Più è smisurato e più è ridicolo.- Attraverso il testo "Caligola", Camus riconcentra la nostra attenzione su domande essenziali.

"Ho bisogno di sentire il mio essere nella misura in cui egli esprime il sentimento di ciò che mi sfugge. Ho talvolta bisogno di scrivere cose che, in parte mi sfuggono, ma che rappresentano appunto una prova di ciò che in me è più forte di me."(Albert Camus, "Carnets").
 

"GLI UOMINI MUOIONO E  NON SONO FELICI", afferma l'imperatore.

E' una frase lapidaria ed enigmatica. Essa rappresenta la lunghezza d'onda su cui si muove l'opera teatrale "Caligola " di Albert Camus  Per entrare in questa sintonia, possiamo vedere il testo attraverso il pensiero dello stesso autore.  Egli mette a fuoco il protagonista, l'imperatore. Lo considera, dapprima, come "un principe relativamente mite". Fino a quando, alla morte della sorella-amante Drusilla, questi scopre che "il mondo, così come va, non è soddisfacente". L'uomo, che Caligola esprime, si sente sempre drammaticamente sproporzionato rispetto alla realtà in cui vive. "Da quel momento egli - sono parole di Camus - ossessionato dal dolore, dal desiderio dell'impossibile, avvelenato dal disgusto e dall'orrore, tenta di esercitare, attraverso il delitto e il pervertimento sistematico di tutti i valori, una libertà. La libertà di prendere in parola quelli che lo circondano, usarli e prendersi gioco di loro, con la parvenza di costringerli alla logica. Soprattutto livellare tutto intorno a sé, con la forza del suo rifiuto e, soprattutto, la follia di distruzione, cui lo trascina la sua passione per la vita. Ma se la sua verità è negare gli dei, il suo errore è ancora negare gli uomini. Non si può distruggere tutto, senza distruggere se stessi." Nel monologo finale, infatti, Caligola rivela: "Non ho scelto la strada giusta, questa non conduce a nulla. La mia libertà non è quella buona" - L'amico-nemico Cherea aveva definito così il concetto di libertà: "Penso che essa sia soltanto ciò che tu le permetti di essere". E Caligola, a sua volta: " [..] non esiste che una sola libertà, quella del condannato a morte. Perché tutto gli è indifferente, al di fuori del colpo che farà scorrere il suo sangue." Oppure non esiste che la sua libertà, di principe al di sopra di qualsiasi legge, umana o divina:"Da questo momento - e per sempre - la mia libertà è senza più limiti".

Si tratta sempre di definizioni di fuga dal centro del problema, poiché, forse, la libertà è arrivare a coincidere con se stessi, aderire, con completezza, alla nostra intima natura. In un certo momento sembra, in qualche modo, intuire questa strada:"Ah!Io sono il solo a sapere che non esiste potenza, senza incontrollata sottomissione al proprio destino profondo".
 

UN AVVERTIMENTO PROFETICO

Camus, pur all'interno del suo proprio travaglio interiore, evidenzia volutamente, con forza drammatica, in questo lavoro, il parallelo della trama raccontata, con le disastrose conclusioni cui può arrivare il nihilismo contemporaneo, che smantella tutti i valori, senza nulla costruire. Lasciando il vuoto. E'un avvertimento profetico. E l'avvertimento percorre due strade. Una è quella interiore, l'altra è quella dell'attualità storica di quel momento. Infatti tutti gli intellettuali dell'epoca, riconobbero, attraverso la crudeltà di questo folle imperatore, la rappresentazione della figura di Hitler. Riconobbero la lotta tra la presa di coscienza da parte di molti e l'incapacità di ribellarsi al tiranno da parte di una classe politica e intellettuale, che aveva perso la propria identità culturale.

Tuttavia, per sottolineare l'universalità del messaggio e la sua validità in tutti i tempi e in tutti i luoghi, lo spettacolo è ambientato in un futuro non meglio definito. Uno spazio senza tempo, né precise coordinate geografiche.  La scena vive di linee essenziali e geometriche, spazi materializzati dal disegno delle luci, che rapidamente cambiano, come lo sguardo e l'umore del protagonista. Dominano arrembanti contrasti di bianco e nero, fortemente incisivi nell'enfatizzare i significati espressi.
 

"A ME BASTEREBBE L'IMPOSSIBILE"

Caligola è qui indagato come uomo. Egli è potentemente attratto dall'impossibile. L'impossibile: qualcosa di grandioso, enorme, anzi infinito. Ordina ad un presunto amico di portargli nientemeno che la luna. E' un bisogno, in realtà, da parte dell'autore stesso, di realizzare una indagine ininterrotta nel mondo dell'assurdo ed, insieme, di esprimere la sua confessata passione per l'assoluto, l'impossibile.  E ancora l'imperatore:"Ma dove trovare da soddisfare la mia sete? [...] Non c'è niente che mi vada bene, né in questo mondo, né nell'altro. Eppure, sono certo, mi basterebbe l'impossibile. L'impossibile! L'ho cercato ai confini del mondo e di me stesso!" - "Eppure è così semplice. Avessi avuto la luna, o Drusilla, il mondo, la felicità, sarebbe stato tutto diverso." Tuttavia Caligola giunge fino ad affermare (soprattutto nelle ultime rielaborazioni del testo) che Drusilla sarebbe solo l'occasione, più che la causa, del suo dolore e del suo delirio e che il suo vero scopo consiste nel creare un regno in cui l'impossibile si realizzi. "C'è una sofferenza ancora più terribile: quando ci accorgiamo che anche i dolori non durano a lungo. Anche  il dolore non ha senso. Vedi, non mi resta più niente, nemmeno l'ombra di un amore, nemmeno la dolcezza della malinconia. Lei non era che un alibi per me. Oggi sono molto più libero di allora, dato che non ho più ricordi, né illusioni.(Ride sfrenatamente)Niente dura, lo so!"
 
LA VERITA'

Caligola, il grande uomo di potere, non può accomodarsi in una vita di piccole, limitate soddisfazioni. Non può accontentarsi di una realtà parziale, di una verità parziale. E' qui la spiegazione della sua condotta grottesca e tragica, che lo porta, ad esempio, a creare gratuitamente carestie per il popolo, che lo porta ad atti assurdi, violenti, spietati, quali omicidi sfacciatamente sadici, per capriccio, da lui annunciati in faccia a qualunque vittima innocente, che gli stia intorno.  E' qui il recondito motivo di tutti i comportamenti aggressivi e criminali: è una titanica sfida contro la realtà, una lotta portata allo stremo, con l'ansia e lo scopo di riuscire a scatenare una reazione, una reazione potentemente rivelatrice da parte della realtà. Anche se la strada imboccata è quella sbagliata.

La follia onnipotente dell'imperatore Caligola giunge fino al punto di voler apparire in mezzo ad amici e senatori, travestito da grottesca Venere, su di un piedestallo, di modo da essere adorato. Viene così recitata, nei suoi confronti, ripetuta da parte di tutti, una preghiera, quasi in forma di poesia, dedicata al Caligola-Venere. Questa si conclude, non senza essere significativa:"Svelaci che la verità di questo mondo, è di non possedere alcuna verità" Ecco la profonda consacrazione dell'assurdo, dell'assurdo dell'esistere, tema ricorrente e mai risolto, anche e proprio dentro il pensiero dell'uomo Albert Camus e forse anche dell'uomo contemporaneo. Poi la preghiera continua, e chiude: "Dacci la forza di vivere all'altezza di questa verità incomparabile!" Incomparabile, è vero. Il mistero dell'esistere, infatti, è tutto qui. Concludiamo anche noi, oggi, come Caligola, con le parole di Paolo Crepet, che "siamo così deboli da non saper accettare che la realtà è questa". Oppure vogliamo davvero vivere all'altezza di questa verità incomparabile e raccogliere la sfida, che ciascuno dovrà, personalmente, risolvere, per rompere il velo. Non possediamo alcuna verità, proprio per poterla cercare.
 

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