- Darwin e l'evoluzionismo -
 

Charles Darwin
 
UN'ORIGINE COMUNE CON MODIFICAZIONI

Il concetto che sta alla base della teoria dell'evoluzione è sostanzialmente uno: tutte le specie viventi hanno una lontana origine comune che nel tempo si è modificata dando origine a tutte le differenze oggi presenti. La teoria mira a svolgere tutti i passaggi intermedi di questo percorso e per fare ciò si serve di molte discipline diverse, dalla geologia alla paleontologia, dalla matematica alla tassonomia fino alla genetica. Si tratta infatti di stabilire come da questo organismo vivente primordiale siano potute evolversi tutte le specie, perché alcune sono sopravvissute al tempo e altre si sono estinte, quali i fattori, quali le cause. In questo contesto non è possibile non parlare del padre di questa disciplina, Charles Darwin; ma prima soffermiamoci un attimo sul cuore del suo contributo alla teoria: il concetto di selezione naturale.

La selezione naturale

La selezione naturale, fondamento saldo della teoria dell'evoluzione, è il fenomeno per il quale le caratteristiche degli individui di una specie più adatti all'ambiente che li circonda diventano predominanti portando ad una scissione della specie originaria e alla nascita di nuove o comunque all'eliminazione di alcuni caratteri. Questo accade perché i più adatti, vivendo più a lungo, vengono naturalmente selezionati per riprodursi maggiormente e quindi trasmettono in misura maggiore le proprie caratteristiche genetiche ai figli.
 

DARWIN

Charles Darwin nasce il 12 febbraio 1809 a Shrewbury, cittadina della provincia inglese, dal ricco medico Robert Darwin e Susannah Wedgewood Darwin. Dapprima intenzionato a seguire le orme del padre si avvicina in seguito agli studi ecclesiastici all'Università di Cambridge dove si avvicina agli studi sulla natura, biologia e scienze della Terra. In Zoologia del viaggio della H. M. S. Beagle Darwin racconta del viaggio a bordo dalla Beagle come naturalista, compiuto tra il 1831 e il 1836, durante il quale attraverso il mondo intero facendo varie soste in particolare in Sud America. Il suo compito era quello di raccogliere campioni di esseri viventi in quelle zone, ma particolarmente importanti furono le iguane, le testuggini giganti e i mimi ritrovati nella isole Galapagos. Infatti quando Darwin donò questi esemplari alla Società Zoologica di Londra, le analisi compiute dal centro rivelarono che quelle che lo scienziato pensava essere semplici varietà diverse di mimi o fringuelli erano in realtà specie ben distinte. A questo si deve la prima intuizione della teoria dell'origine comune con modificazioni.
L'ipotesi di Darwin era quella che gli uccelli delle Galapagos fossero originari di un'unica specie che viveva sul vicino continente sudamericano ma che erano migrati in isole differenti dando origine con il tempo a specie distinte. Lo stesso discorso poteva farsi per testuggini ed iguane.

I contributi esterni

Le deduzioni di Darwin potrebbero oggi sembrare banali ma non lo erano affatto al suo tempo, quando ancora regnava la convinzione che tutte le specie siano state create come sono ora. Iniziavano tuttavia ad esserci, anche prima di Darwin, elementi che avrebbero portato il naturalista inglese alla formulazione della sua teoria. Tra costoro possiamo ricordare Charles Lyell che in Principi di geologia enunciava la sua convinzione che la terra fosse soggetta a continui cambiamenti e che dunque la Terra non è stata create così come la vediamo ogni giorno. Darwin si chiese: non potrebbe essere lo stesso per il mondo vivente?
Jean-Baptiste de Lamarck nel 1809 sostenne l'eredità dei caratteri acquisiti ma in un'ottica errata. Egli riteneva che, ad esempio, le anatre in origine non avessero le zampe palmate ma che con il nuotare si fossero le dita estese al punto da arrivare ad avere vere e proprie zampe palmate. La caratteristica sviluppatasi durante la vita si sarebbe in seguito trasmessa ai discendenti. La visione è parzialmente corretta, in quanto, in realtà, non si trasmettono caratteri acquisiti in vita ma è invece la selezione naturale a favorire il loro diffondersi.
Lo scienziato francese George Cuvier ad inizio Ottocento scoprì fossili di specie estinte che sembravano predecessori di quelle attuali. Egli errò però nel spiegare il motivo di questi ritrovamenti: supponeva che questi esseri fossero stati spazzati via da catastrofi naturali e in seguito rigenerati in maniera più articolata dal Creatore.
Ma forse il contributo più importante e deciso viene da Robert Malthus, autore nel 1803 del Saggio sul principio della popolazione, in cui sosteneva che la popolazione cresceva con progressione geometrica (1, 2, 4, 8, 16) mentre le risorse disponibili sul pianeta con progressione aritmetica (1, 2, 3, 4, 5). Ciò comportava che man mano che la popolazione cresce la risorse disponibili sono sempre minori, fatto che genera povertà. Nella visione di Malthus, dunque, tutto ciò che limitava la crescita della popolazione era positivo, in particolare guerre, carestie e astinenza volontaria dal matrimonio ma soprattutto l'eliminazione delle politiche in favore dei poveri, in quanto sono incentivo all'incremento di popolazione. Ciò che colse Darwin da questa teoria, estendendo il contesto a tutto il mondo vivente, è che in una situazione di lotta per l'esistenza (struggle for life, intesa come competizione per accedere alle risorse necessarie) le caratteristiche favorevoli tenderebbero a essere conservate, mentre quelle sfavorevoli a essere eliminate.
È da ricordare anche A. R. Wallace, co-scopritore della teoria dell'evoluzione in quanto vi arrivo 20 anni dopo Darwin per vie parallele, anzi fu proprio Wallace a pubblicare per primo la teoria, anche se furono gli scritti di Darwin (Sull'origine delle specie per mezzo della selezione naturale, 1859) ad avere maggiore eco nel mondo scientifico.
Infine va citato Gregor Mendel per aver chiarito i principi alla base dell'ereditarietà e aver gettato le basi della genetica. Prima dei suoi studi si riteneva infatti che nel neonato i caratteri dei genitori venissero mescolati (come fossero due vernici diverse), il che era assurdo, in quanto avrebbe portato, con il passare delle generazioni, ad avere individui tutti uguali. Mendel spiegò invece che erano i geni che procedevano di padre in figlio come unità ereditarie non modificate e che permettevano quindi di mantenere e accrescere la diversità all'interno della specie.
 

LA TEORIA DELL'EVOLUZIONE

Scendiamo ora nel dettaglio. Di cosa tratta la teoria dell'evoluzione? Da quali forze è spinta? Quali sono i suoi metodi di modificare la vita nello scorrere del tempo? Vediamo qui i principi che regolano la cosiddetta microevoluzione.

Oggetto della teoria

Come abbiamo già detto Lamarck si sbagliava quando pensava che fossero gli individui di una specie ad evolversi in quanto le modificazioni ottenute in vita non si trasmettono in alcun modo alla prole generata. Si potrebbe allora pensare che siano appunto le specie (gruppo di organismi in grado di accoppiarsi tra loro) ad evolversi, ma anche questa affermazione non è del tutto corretta in quanto è possibile che, ad esempio, una stessa specie che venga divisa più o meno bruscamente in due parti per cause naturali può evolversi in due modalità differenti a seconda delle condizioni dell'area in cui si trova l'una o l'altra. Tipico è l'esempio di un'ipotetica specie di rane dell'Africa equatoriale che vive in una foresta divisa in due parti in seguito ad una prolungata siccità. Immaginiamo ora che in una delle due zone siano maggiormente presenti predatori delle rane, questo potrebbe comportare nel tempo un'evoluzione del gruppo di rane che vi abita ad acquisire un colore più mimetico. Dunque chiameremo questo gruppo di individui popolazione di una data specie: ecco che cosa si evolve.
Torniamo ora a Lamarck, perché la sua teoria era errata? Perché egli non era a conoscenza del fatto che i caratteri che la prole eredita non sono dovuti ad evoluzioni subite in vita ma dipendo esclusivamente dal patrimonio genetico dei genitori. Sono dunque i geni ciò su cui il meccanismo evolutivo opera, se così si può dire.

Geni e alleli

Negli organismo a riproduzione sessuata il genotipo di un organismo (l'insieme di tutte le caratteristiche genetiche) è determinato dalla presenza di geni in coppia, uno ereditato dalla madre e uno dal padre: si tratta degli alleli. Su uno stesso carattere (ad esempio la colorazione della pelle) spesso influiscono più di un gene, ma anche i singoli geni possono presentarsi in maniere molto differenti, dando luogo ad una serie di alleli differenti e quindi a manifestazioni della caratteristica in questione in maniera diversa. È questa la ragione per la quale un carattere come il colore della pelle, oppure degli occhi o dei capelli non si presenta in una serie ben determinata di possibilità ma in gamma.
L'insieme di possibilità di alleli e geni in una popolazione viene definito come pool genetico. Il pool genetico è la materia prima dell'evoluzione, che vede, lungo le generazioni, il prevalere di un dato tipo di alleli piuttosto che di un altro secondo criteri di sopravvivenza a siccità, predatori, ecc. Si può a questo punto pensare l'evoluzione come una "semplice" variazione delle frequenze alleliche, infatti gli organismi dotati di un certo allele, che nella vita quotidiana permette loro di evitare un predatore, vivranno più a lungo, si riprodurranno maggiormente e dunque anche quello stesso allele si diffonderà di più rispetto ad una altro tipo che ha determinato una morte prematura dell'individuo.
Questa variazione delle frequenze alleliche è detta microevoluzione in quanto regola l'evoluzione a livello di popolazioni, dunque su piccola scala. Si parlerà invece di macroevoluzione in relazione ad un tipo di evoluzione che modifica radicalmente intere specie, porta alla nascita di nuove e così via. Nella macroevoluzione rientra ad esempio il processo per il quale dai rettili si sono evoluti i mammiferi.

I 5 agenti della microevoluzione

Finora abbiamo considerato come unico fattore promotore della microevoluzione la selezione naturale, ma dire ciò non è sufficiente: vi sono altri 4 agenti che portano ad una variazione delle frequenze alleliche: la mutazione, il flusso genico, la deriva genetica e l'accoppiamento non casuale.

Mutazioni

Il fenomeno di mutazione è davvero molto raro, negli esseri umani si verifica su un gamete ogni 100'000 gameti (spermatozoi o cellule uovo), ma è tuttavia uno dei più importanti, come vedremo tra poco. Esistono tre tipi di mutazione:

  • mutazione puntiforme: nel DNA una coppia di basi azotate (unità minima che compone le catene del DNA) viene sostituita con un'altra;
  • mutazione per delezione: viene eliminato un intero cromosoma o comunque una parte di esso;
  • mutazione per aggiunta: viene aggiunta una parte di cromosoma o di una parte di esso;

Particolarmente importante è l'ultima evenienza perché per quanto rara è assolutamente determinante in quanto è l'unico tipo di variazione della frequenza allelica che permette ad una specie di acquisire caratteristiche nuove, altrimenti non ottenibili con un semplice rimescolamento. Si pensi alla formazione degli occhi o delle ali: non sarebbe stata possibile senza nuovo materiale genetico, ottenuto per una serie di mutazioni genetiche verificatesi lungo il corso di milioni di anni. Va però ricordato che nella maggior parte dei casi le mutazioni non hanno alcun effetto particolare, in molti sono dannose e nella rimanente parte risultano adattive, ovvero vantaggiose per l'individuo che le subisce.

Flusso genico

Il secondo agente della microevoluzione è il cosiddetto flusso genico. Il flusso genico consiste nell'incontrarsi (o il riunirsi) di due popolazioni con un pool genico sufficientemente differente: gli accoppiamenti tra queste due popolazioni porterà delle alterazioni al pool di entrambi, determinando un passo evolutivo. Il flusso si verifica più spesso di quanto non si immagini tramite le migrazioni, in particolare su isole distanti dalla terraferma, e neppure le piante ne sono escluse, infatti semi e polline possono essere trasportati anche molto lontano tramite animali o vento.

Deriva genetica

Si ha il fenomeno della deriva genetica in seguito ad una diminuzione della frequenza di un certo allele non dovuto all'allele stesso ma a fattori casuali. Ad esempio se in una popolazione di 10'000 individui il 10% di essi sono portatori di un certo allele e per una catastrofe naturale la metà della popolazione viene distrutta, su 5'000 individui rimanenti, 500 saranno portatori di quell'allele. Tuttavia se per puro caso sopravvivono solamente 450 individui portatori di quell'allele la sua frequenza scenderebbe al 9%. Questo è l'effetto che viene chiamato deriva genetica, e, come immaginabile, nelle popolazioni meno numerose è più determinante (può arrivare addirittura a far sparire un certo tipo di carattere).
L'esempio della catastrofe naturale può anche essere sostituito ad esempio da uno spietato intervento umano di caccia (come accadde verso la fine dell'Ottocento per gli elefanti marini nordamericani). Queste drastiche diminuzioni di popolazioni creano il cosiddetto effetto collo di bottiglia: i caratteri di coloro che (casualmente) sopravvivono alla catastrofe, nella ripopolazione a venire, saranno certamente preponderanti.
Altra situazione che può portare ad una deriva genetica è una migrazione di una parte di una popolazione dotata di un pool genico molto diverso dal gruppo da cui si sono distaccati: questi caratteri nella neonata popolazione saranno sicuramente molto presenti. Si tratta dell'effetto del fondatore, i maggiori esempi umani si hanno nell'isola di Pingelap per la predisposizione ad una malattia che impedisce la visione dei colori e nelle comunità Amish in Pennsylvania per la polidattilia.

Accoppiamento non casuale

L'accoppiamento non casuale è un fenomeno molto simile alla selezione naturale ma basato sulla maggiore possibilità di accoppiarsi piuttosto che di sopravvivere. È risaputo che il pavone dal piumaggio più sfarzoso e vistoso e il gallo forcello più aggressivo si accoppiano maggiormente, variando così la frequenza allelica della popolazione. Spesso è dunque anche una questione di semplice aspetto esteriore.

La selezione naturale e i suoi modi di operare

La selezione naturale è il fenomeno per il quale un determinato allele varia la sua frequenza in relazione alla possibilità di riprodursi del suo portatore. Ovviamente si riproduce maggiormente chi vive più a lungo: ciò significa che un allele vantaggioso per la sopravvivenza o la riproduzione si diffonderà di più.
Un concetto strettamente collegato con quello di selezione naturale è quello di adattamento: una variazione nell'habitat di una popolazione, come potrebbe essere il prosciugamento di un bacino d'acqua, può portarla a modificare le sue caratteristiche tramite il meccanismo sempre agente della selezione naturale.
Una nota su un punto su cui spesso vi è confusione: non si deve pensare che la selezione naturale operi sempre a vantaggio di una data caratteristica, ovvero, non esiste un individuo perfetto, più adatto di tutti gli altri verso il quale l'evoluzione spinge. O meglio le caratteristiche in questione cambiano nel tempo. Ad esempio in un periodo di siccità per un uccello potrebbe essere più adatto avere un becco lungo che permetta di prendere più grandi ma in un altro periodo la carenza di semi di grandi dimensioni potrebbe portare l'evoluzione a prediligere individui dal becco più piccolo.

Per i caratteri poligenici, ovvero sui quali influiscono più di un singolo gene, le possibili diverse combinazioni degli alleli danno luogo ad una serie molto articolata di manifestazioni del carattere diverse, sfumata potremmo dire. Tra queste caratteristiche possiamo elencare l'altezza, il peso e il colore degli occhi di un uomo. Vediamo per questi casi quali sono le vie che l'evoluzione può percorrere.

La selezione stabilizzante

Si ha una selezione stabilizzante quando i valori intermedi del carattere sono i favoriti. Si pensi ad esempio al peso alla nascita: i bambini che pesano troppo o troppo poco hanno minore possibilità di sopravvivere e quindi di riprodursi trasmettendo i propri caratteri. La selezione naturale dunque, sceglie a favore dei bambini con un peso medio.

La selezione direzionale

Abbiamo invece la selezione direzionale quando l'evoluzione opera a favore di un particolare fenotipo (manifestazione di un carattere). Classico è l'esempio della farfallina B. Betularia che la selezione naturale scurì in concomitanza con l'annerimento delle cortecce degli alberi per via dell'inquinamento e che tornò al colore originario (bianco) con la sua diminuzione.

La selezione divergente

Il caso della selezione divergente è piuttosto raro in natura ma non assente: consiste nel favorire le posizioni estreme di un carattere piuttosto che le intermedie come accadeva per la selezione stabilizzante. Questo tipo di evoluzione si ha nei casi in cui gli individui con un dato carattere vicino alla media abbia meno possibilità di sopravvivere. Citiamo in proposito il caso dello spaccasemi ventrenero che se dotato di un becco molto lungo si specializza su semi molto duri mentre se il becco è molto piccolo su semi teneri. Gli esemplari con il becco di lunghezza intermedia fanno invece fatica con entrambi i tipi di alimentazione.
 

L'UOMO E L'EVOLUZIONE

Certamente è innegabile che anche l'uomo, come tutti gli altri esseri viventi, sia sottoposto all'incessante agire dell'evoluzione e i casi citati dell'isola di Pingelap e della comunità Amish ne sono un chiaro esempio, ma ciò significa che siamo creature totalmente determinate? Siamo o non siamo diversi da comuni animali e batteri?
Ai tempi di Darwin la questione era molto dibattuta e una delle principali e più convincenti tesi che favorivano la visione dell'uomo come essere superiore era la sua moralità. Darwin in Descent of Man sostenne una continuità tra uomo e animali, anche sotto il profilo della moralità:

Qualsiasi animale, dotato di ben definiti istinti sociali (affezione filiale inclusa), inevitabilmente acquisirebbe un senso morale o coscienza, appena le sue facoltà intellettuali siansi sviluppate tanto o almeno approssimativamente quanto nell'uomo.

Charles Robert Darwin - L'origine dell'uomo (1871), capitolo 4, trad. Michele Lessona, Oxford University

Darwin intende con ciò dire che l'uomo, da animale sociale quale è, ha istinti sociali innati o comunque una propensione a trarre piacere dalla società e ad offrire ad essa servizi, in seguito alla quale sarebbe nata la moralità. Gli animali, uomo incluso, hanno questo genere di istinti perché sono utili, e sono dunque stati acquisiti tramite la selezione naturale.
Tuttavia bisogna ricordare che Darwin ai tempi in cui scrisse le sue opere aveva sì individuato il funzionamento del meccanismo della selezione naturale, ma non era in grado di giustificarlo, fatto che accadde solamente più avanti con li contributo della genetica, come abbiamo visto. Dunque, chiarita l'origine dell'evoluzione, è possibile pensare che la moralità sia un carattere geneticamente trasmissibile, determinato da una variazione della frequenza di uno o più alleli? Certamente no, e pur ammettendo la possibilità di un istinto sociale innato, questo certamente non determina l'uomo a livello genetico.
Ma anche dal punto di vista fisico appare difficile parlare di selezione naturale per l'uomo, quando la medicina moderna permette di vivere sempre più a lungo a persone con difetti fisici che in passato avrebbero certamente determinato una morte prematura, i loro geni possono oggi continuare a trasmettersi anche se il freddo meccanismo della selezione naturale avrebbe preferito scartarli.
A questo punto si potrebbe citare Herbert Spencer e del suo tentativo di estendere l'evoluzionismo a livello ontologico, ma le sue teorie rientrano nel campo della filosofia, non hanno fondamenti scientifici saldi e trascendono per questo il fine della sezione.
 

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