- Considerazioni preliminari -
 

Iceberg
 
ECOLOGIA

LE POSSIBILI SOLUZIONI. COME EVITARE LA CATASTROFE? UNA POSSIBILE SOLUZIONE DEL DILEMMA DI DAHRENDORF

I progetti pensati e/o (solo in parte) già attuati per risolvere il problema del cambiamento climatico, ormai irreversibile ma comunque ancora controllabile, tengono conto di alcune variabili che possono essere riassunte e sintetizzate con il cosiddetto modello di Ehrlich o MODELLO IPAT.

Questo modello interpretativo è stato elaborato nel 1972 dallo studioso Paul Ehrlich, assieme a John Holdren. Ehrlich sviluppò una teoria per valutare l'impatto ambientale della crescita demografica. A quel tempo si riteneva che la crescita fortissima della popolazione mondiale avrebbe prodotto esiti disastrosi per l'ambiente, e che l'elemento da tenere sotto controllo a ogni costo, per evitare il collasso ambientale fosse proprio la "population Bomb", l'esplosione demografica.

Il modello può essere formulato nel modo che segue: I (=Impact, impatto ambientale delle società umane) = P (Population, crescita della popolazione) · A (= Affluence, opulenza, calcolata in consumo pro-capite) · T (Technology, tecnologia). In sostanza, l'impatto ambientale è il risultato del prodotto del'aumento demografico per il consumo per la tecnologia. Tale modello sottolineava soprattutto il peso della popolazione nella valutazione dell'Impact. C'era troppa gente in giro per il mondo, e questo rendeva impossibile sostenere i consumi ed evitare la devastazione ambientale, nonostante il progresso tecnologico.

Oggi però il prof. Francesco Billari (docente di demografia Università Bocconi di Milano) ritiene che Ehrlich avesse torto nelle sue conclusioni, anche se il modello in questione può ancora essere adoperato per evidenziare l'importanza di altri fattori. Brevemente: per Billari, la popolazione mondiale verso il 2.070 dovrebbe cominciare a decrescere; già oggi in molti paesi si assiste a una low fertility: non solo nei paesi dell'Europa mediterranea, ma anche in Giappone, Corea del Sud, Hong-Kong etc.: Qui si è giunti alla media di meno 2 figli per coppia. La popolazione mondiale (oggi 6,5 miliardi) arriverà forse verso i 9 miliardi, poi comincerà a calare.

Il problema non è tanto costituto dalla popolazione; e certo non dalla tecnologia, che - anzi.- offre soluzioni sempre migliori per nutrire grandi masse e affrontare la crisi ambientale. Il problema vero e proprio, per la valutazione dell'Impact, è costituito dall'AFFLUENCE, cioè dalla corsa ai consumi che sta diffondendosi anche in nuove realtà politiche e sociali (i ceti medi asiatici, ad esempio) e che è enorme in Occidente (vedi Billari, Limes, pp.87-88). E' l'AFFLUENCE che spinge verso la sempre maggiore emissione di CO2 e dunque verso un sempre maggiore e distruttivo impatto ambientale.

Dunque, qualunque soluzione si voglia offrire ai problemi dei cambiamenti climatici dovrà tenere conto di due fattori: potenziamento della tecnologia e riduzione della Affluence (nel senso dei consumi smodati).

IL RISPETTO DEL PROTOCOLLO DI KYOTO E IL SUO RAFFORZAMENTO. LA CARBON TAX. UNA POSSIBILE SOLUZIONE POLITICA

Rispettare il Protocollo di Kyoto sarebbe già qualcosa, sarebbe già parte della soluzione, ma ancora non basta.

Nel 1997, a Kyoto (Giappone) i governi di 160 Paesi hanno firmato un Protocollo per diminuire le emissioni di CO2 e altri gas serra. (oggi i paesi firmatari sono più di 180). Il protocollo fissa "quote nazionali" di carbonio da non superare al fine di ridurre del 5,2% l'emissione di CO2 e altri gas serra entro il 2012 e rispetto ai livelli del 1990.

La cosa purtroppo è risultata quasi ridicola! Si consideri che per la ratifica (=conferma) delle firme e l'entrata in vigore del protocollo si è dovuto attendere l'inizio del 2005 (dopo che anche la Russia aveva aderito), a causa delle obiezioni politiche ed economiche sollevate da vari governi. Per essere operativo, infatti, il protocollo di Kyoto richiedeva di essere non solo firmato, ma ratificato da almeno 55 Paesi e comunque da un numero di Paesi che producessero almeno il 55% delle emissioni di gas serra.

Oggi (dati riferiti al novembre 2006 - fonte euk2cnr.org) il protocollo impegna 157 Paesi, che hanno aderito e ratificato. Non hanno però aderito al protocollo alcuni grandi paesi come gli U.S.A (che pure aveva firmato a Kyoto, e che sono responsabili del 36,1% del totale delle emissioni) e l'Australia, formidabili produttori/consumatori di carbone etc. Hanno aderito invece giganti come la Cina e l'India, ma - in quanto considerati paesi in via di sviluppo- non sono stati soggetti ad alcun obbligo di riduzione, traendone 'vantaggio'. Tuttavia oggi Cina e India sono recalcitranti nell'offrire il loro sostegno al protocollo, perché temono che anch'esse saranno soggette a restrizioni a partire dal 2012. Infatti, già nel luglio 2005, a Canberra (Australia) si è stretto un patto alternativo a Kyoto tra U.S.A., Australia, Cina e India, per produrre energia pulita (?) ma senza intromissioni da parte dell'O.N.U.

In ogni caso, gli obiettivi di Kyoto sono ormai giudicati troppo modesti dalla comunità scientifica. In realtà, ricorda Flannery (p.264), bisogna tagliare l'emissione di CO2 del 70% entro il 2050 per avere speranza di stabilizzare/governare/accompagnare il cambiamento in modo non traumatico!

I grandi paesi industrializzati fanno a gara per acquistare le quote nazionali di emissione da paesi dell'Est Europa o dell'Africa, paesi che per ragioni interne consumano poco combustibile fossile.

Una soluzione potrebbe essere quella di imporre una carbon tax, una tassa sulla emissione di CO2 di circa 200 dollari statunitensi a tonnellata (di combustibile). Ma una misura dissuasiva del genere incontra la fortissima opposizione di grandi lobbies e corporations interessate a tutelare la produzione e il consumo di tali sostanze. Esse obiettano che frenare l'emissione di CO2 significherebbe rovinare l'economia nazionale (blocco della produzione industriale, disoccupazione etc.), a beneficio di Stati come Cina, India etc.

Eppure, secondo Flannery, queste obiezioni non tengono, perché:

  1. Lo sviluppo economico potrebbe essere garantito dalla conversione degli investimenti in tecnologie avanzate (vedremo quali) basate sull'uso di energia rinnovabile e non inquinante; le spese di riconversione industriale potrebbero essere ammortizzate in tempi non lunghi; si potrebbero creare moltissimi nuovi posti di lavoro nei nuovi settori di ricerca e applicazione industriale; alcuni grandi gruppi industriali hanno già capito, con notevole intelligenza, che nel nuove tecnologie non (o meno) inquinanti consentiranno di ottenere notevolissimi profitti.
     
  2. Non-far-nulla (non frenare l'emissione di CO2 e metano etc.) alla fine costerà assai di più: siccità, uragani (vedi Katrina a New Orleans nell'agosto 2005), possibili glaciazioni, desertificazioni etc. imperverseranno, annientando i ricavi economici delle stesse corporations del petrolio e del carbone. Già oggi alcune grandi compagnie assicurative (in Florida e Louisiana, ad esempio) ammettono francamente di trovarsi in grande difficoltà: per far fronte ai rischi di alluvioni, tornadi etc. debbono aumentare i premi assicurativi, ma -in presenza di altre grandi devastazioni come quelle del 2005- non sono certe di poter risarcire completamente i danni.

In verità, l'opposizione proviene dalla stupida e irrealistica difesa di interessi economici di pochi potenti. A questo punto Flannery, Gore, Michael Moore e tanti altri puntano il dito contro le bugie e le "infamie" (F., p.288) diffuse dalla lobby dei combustibili fossili, soprattutto negli anni (attuali) della amministrazione Bush in America. Il New York Times (un giornale non propriamente 'comunista'!) l'8 giugno 2005 ha riferito che Ph. Cooney, assistente di Bush e membro della lobby del petrolio, avrebbe soppresso o alterato alcune relazioni sugli effetti dei gas serra, relazioni prodotte da scienziati governativi, per minimizzare le preoccupazioni sul mutamento climatico. Secondo R.E. Kennedy (CRIMES AGAINST NATURE, 2004), Cooney e i suoi "corporate pals" avrebbero alterato non meno di 12 relazioni, tra le quali anche una della N.A.S.A.!!!

Questi "Corporate Pals" negano l'effetto serra come una vera e propria assurdità, e diffondono in tutti i modi il loro pensiero, anche via internet. Così, ad esempio, le pressioni della Exxon, della Mobil, della General Motors etc. sul governo e sulla opinione pubblica sono ancora molto evidenti su siti web come quello della Global Climate Coalition (l'associazione si è sciolta nel 2000, ma il sito è ancora attivissimo). Siti del genere diffondono materiale ingannevole, dice Flannery , e sono molto numerosi.

SOLUZIONI INGEGNERISTICHE. DECARBONIZZARE LA PRODUZIONE E I TRASPORTI

  • Sono state proposte soluzioni tecniche basate sull'idea della estrazione della CO2 dall'atmosfera. Si potrebbe comprimere e liquefare la CO2 e poi pomparla nelle profondità oceaniche; oppure sotto terra (=GEOSEQUESTRAZIONE), ma le due soluzioni presentano notevoli rischi: nel primo caso, la acidificazione degli oceani; nel secondo caso il pericolo di fughe del gas dal sottosuolo.
     
  • Altra possibilità molto studiata è costituita dal passare all'uso dell'idrogeno come fonte energetica. Tale uso si basa sulla costruzione di grandi celle a idrogeno, nelle quali viene immesso idrogeno assieme a ossigeno, e dalle quali fuoriesce acqua ed elettricità. Purtroppo le celle in questione diventano operative solo a 650 gradi, e per farle funzionare bisogna utilizzare combustibile fossile. Il risparmio di CO2 è di circa il 30%, ma il problema non si risolve se non in parte (piccola).
     
  • Si potrebbe allora passare all'energia nucleare, come ha proposto James Lovelock (il teorico ambientalista di GAIA, 1979) nel 2004: dinanzi al degrado ambientale ormai inarrestabile, l'unica soluzione sarebbe un massiccio ritorno al nucleare. La proposta di Lovelock, uno dei padri del pensiero ecologista, ha suscitato scalpore. L'obiezione di Flannery (p.320) è che, al di là del problema della sicurezza da attacchi terroristici e del problema delle scorie nucleari, un semplice ragionamento pragmatico rende poco accettabile la proposta di Lovelock: per costruire centrali nucleari ci vuole molto tempo: almeno 15 anni (tra richieste di permessi e autorizzazioni e costruzione vera e propria); una centrale nucleare comincerebbe a fornire profitti agli investitori solo dopo una ventina d'anni. E NOI NON ABBIAMO COSI' TANTO TEMPO A DISPOSIZIONE! Non possiamo permetterci di attendere così tanto per cambiare i nostri stili di vita e frenare il cambiamento climatico! Saremo travolti prima!

[NOTA A MARGINE: la Francia ottiene l'80% del suo fabbisogno nazionale dal nucleare; centrali nucleari sono previste nei prossimi vent'anni in India, Cina, Russia, Giappone. L'Italia, con il referendum del novembre 1987, subito dopo la catastrofe di Chernobyl (1986), in Ucraina, ha votato contro l'uso dell'energia termo-nucleare]

  • Si potrebbe però utilizzare l'energia geotermica fornita dal sottosuolo: in South Australia, a 4 KM dalla superficie, è stato scoperto recentemente un deposito di granito riscaldato a 260°C, capace di coprire le necessità energetiche del paese per 75 anni! (p.324) senza emissione di CO2. Attualmente sono in corso rilievi e prospezioni geologiche in tutto il mondo.
     
  • Le soluzioni migliori sembrano essere quelle che richiedono l'uso di energia eolica ed energia solare. Il vento, come fonte di energia, è molto usato in Danimarca, con il massiccio sostegno dei governi. Qui il vento fornisce il 21% dell'elettricità del paese. (potrebbe fornire il 20% del fabbisogno energetico degli USA). Le turbine a vento si guastano meno e hanno bisogno di minor manutenzione rispetto alle centrali a carbone. L'energia solare può essere adoperata da almeno tre tipi di tecnologie:
  1. quella dei pannelli solari, a scopi domestici: catturano i raggi solari per riscaldare l'acqua. Hanno una garanzia di durata media di 25 anni e non richiedono manutenzione;
     
  2. vi sono poi le centrali solari termiche, che producono enormi quantità di elettricità concentrando i raggi solari su collettori. Essi generano sia elettricità che calore;
     
  3. quindi, importantissime, le cellule fotovoltaiche (con garanzia di 40 anni e senza richiesta di manutenzione). Esse generano elettricità trasformata poi in corrente alternata. Una abitazione può rendersi autosufficiente con una dozzina di cellule fotovoltaiche. Inoltre, in questo caso, il proprietario di un sistema fotovoltaico può guadagnare denaro: in Giappone, ad esempio (e così in altri 15 paesi circa) si vende l'energia in eccesso immettendola nella rete elettrica pubblica per un ammontare massimo di 50 dollari statunitensi al mese (F. p. 318). Si tratta di energia rinnovabile e non-inquinante, ovviamente.

Per quanto riguarda i trasporti, l'uso dei combustibili fossili (petrolio etc.) potrebbe venire sensibilmente diminuito grazie alle nuove tecnologie già sperimentate e messe in produzione: oggi possiamo servirci di veicoli ibridi, già prodotti da grandi gruppi industriali (come la Toyota e la Honda). Questi veicoli dimezzano il consumo di carburante. La Toyota Prius, ad esempio, accoppia un motore a benzina a un motore elettrico. Quando si rallenta l'automobile, o ci si ferma, il motore a benzina si arresta e subentra il motore elettrico. La Prius può ridurre le emissioni di CO2 del 70% (esattamente quanto indicato dagli scienziati come obiettivo eco-sostenibile per il 2050). Acquistando un'auto di questo tipo si raggiunge in un giorno l'obiettivo (almeno per quanto riguarda il consumo personale inerente il trasporto).

[In questo documento non c'è alcun intento pubblicitario.]

Inoltre stanno arrivando dall'Europa altre tecnologie ancor più promettenti: i modelli C.A.T. Si tratta di veicoli che si muovono ad aria compressa (Compressed Air Technology). Possono arrivare ai 120km/h; hanno una autonomia di 300km se guidati ai 50 all'ora; il costo del rifornimento potrebbe aggirarsi sui 2,5 dollari statunitensi.; il rifornimento potrebbe essere effettuato con un compressore commerciale (tempo richiesto: 3 minuti) o a casa, con un compressore domestico (ore 3,5). Ciò che fuoriesce dal tubo di scappamento di quest'auto è pura aria fredda!

Ed eccoci al dunque, al punto finale: ecco una possibile risposta al dilemma di Dahrendorf (ricordate?). L'eolico e il solare (abbinati all'uso di C.A.T. e ibridi) aprono, secondo Flannery, una prospettiva democratica capace di salvare l'ambiente: le persone comuni potrebbero produrre da sé gran parte dell'energia di cui hanno bisogno, per riscaldarsi, per avere acqua (attraverso il recupero domestico di aria condensata) e anche per il trasporto. In questo modo diventeremmo, ognuno di noi, 'signori del clima'. E inoltre diminuiremmo di molto - grazie a queste T(ecnologie) - l'impatto ambientale della A(ffluence). Anche perché la produzione domestica di energia finisce per generare un nuovo atteggiamento psicologico: chi produce in proprio è portato ad essere molto attento ai consumi, a non sprecare inutilmente; ad essere direttamente e personalmente responsabilizzato. Solo così si potrà sopravvivere liberi, e anzi, forse, imparare a vivere meglio. [Insomma, aggiungo io, potrebbe nascere una 'democrazia ecologica'!]. La dittatura come salvezza dalla eco-catastrofe non è l'unica possibilità storica che ci venga offerta! Dipende da noi!

MA LE SOLUZIONI TECNICHE, OVVIAMENTE, NON BASTANO SE NON C'E' SERIO IMPEGNO DA PARTE DEI GOVERNI E DEI CITTADINI

"Gli scenari catastrofici di cui sopra si possono evitare ma "un ritardo anche solo di un decennio è decisamente troppo" (Flannery, p. 345).

E allora?

Come privati cittadini dobbiamo cambiare il nostro regime dei consumi: andare a piedi o in bici, dove e quando è possibile; usare i mezzi pubblici; abbandonare i SUV e comprare, la prossima volta, una ibrida o altro; spegnere le luci quando non servono; acquistare elettrodomestici ad alta efficienza energetica o a basso consumo (è la stessa cosa!). BANALE, potrete dire... Lo so, ma non è facile... Si tratta voler essere un po' preoccupati e di cambiare stile di vita, fin che si è in tempo (e c'è ancora tempo, ma non molto!); di avere paura ma non rimanere paralizzati. Si può fare, ma - come diceva tempo fa Donald Worster (op.cit., p.23)- bisogna abbandonare la concezione imperialistica e dominativa della natura per passare a una concezione conservativa della medesima. Mi permetto di dire: e tutto questo non necessariamente per liriche e romantiche idealità, ma per calcolo razionale!

Flannery conclude il libro con un invito: se volete "cambiare il mondo" scrivete a un politico e chiedetegli cosa intende fare e ha fatto per ridurre le emissioni di gas serra, e 'promettetegli' che non avrà il vostro voto se non si impegnerà (e non solo a parole) in questo senso. Uno di voi, se non sbaglio (Emanuele Zoia?), qualche giorno fa ha coniato uno slogan interessante: "Adottiamo un politico!". Appunto: rompiamo le scatole (civilmente)! Seguiamolo nel suo iter politico, talloniamolo da vicino! Guardate che non voglio farvi la morale: non è una questione 'ideologica'; è - alla maniera di Blair- una questione molto pragmatica. E' questione di realismo: se non facciamo così, le cose non andranno bene, per nessuno (sia che voti a destra, sia che voti a sinistra, indipendentemente dal reddito personale). In molti altri paesi è così che si fa. Perché noi no?

E' già successo almeno una volta che l'intervento popolare (civilissimo e democratico) abbia contribuito a salvare il mondo da un colossale disastro ambientale. E' successo con il 'buco dell'ozono'. Per farla molto breve: 20 anni fa fu firmato il Protocollo di Montreal, per limitare l'emissione di clorofluorocarburi (CFC) la cui azione distruggeva l'ozono della stratosfera.

L'ozono è preziosissimo in quanto protegge da radiazioni solari ultraviolette (bloccandone il 95%). Senza ozono ci sarebbero cancro alla pelle, cecità, diminuzione delle difese immunitarie etc. Non ci sarebbe vita.

Ebbene, nel 1974 i ricercatori Paul Crutzen, Mario Molina e F. Rowland scoprirono che l'enorme buco nell'ozono (che si era aperto sopra l'Antartide e che nel 2.000 arrivò ad una estensione di 28 milioni di km quadrati) era dovuto alla emissione di CFC (usato in campo industriale nelle bombolette spray, nei refrigeratori, nei condizionatori d'aria) Il Cloro distrugge l'ozono, soprattutto dove l'aria è molto fredda (ai poli: infatti negli anni Novanta si è aperto un altro buco sull'Artico).

Crutzen e i suoi compagni (poi premi Nobel per la chimica nel 1995) hanno sensibilizzato l'opinione pubblica mondiale. Eppure uomini politici e gruppi industriale dubitavano delle loro scoperte. Ecco il punto: fu anche (soprattutto?) grazie alle decine e decine di migliaia di lettere di privati cittadini inviate a politici di tutto il mondo che nel 1987 si giunse al Protocollo di Montreal. Così abbiamo scampato il pericolo: nel 2004 il buco sull'Antartide si è ridotto del 20% ed è probabile che in 50 anni tutto tornerà nella norma.

Ora, se è successo ai tempi di Montreal, perché non dovrebbe succedere anche ora? Dipende da noi! "Adottiamo un politico"! Torneremo a dividerci poi, dopo, tra destra e sinistra etc. Solo dopo che avremo risolto il massimo problema che l'umanità debba oggi affrontare: il brusco mutamento climatico in corso.

Crutzen è tornato a schierarsi, oggi, dopo aver vinto la battaglia dell'ozono; Rubbia non la pensa diversamente (mi pare!); negli U.S.A., nonostante - anzi, a causa della- politica 'carbonifera' del governo, nel 2003 alcuni Stati (una decina) hanno deciso di citare a giudizio il governo federale per imporre la regolamentazione della CO2. Gli stessi Stati , dopo una serie di riunioni nei mesi successivi, si sono accordati per ridurre di loro iniziativa le emissioni del 10% entro il 2.020. Sono, tra gli altri, lo Stato di New York, del Connecticut, del Massachusetts, del Maine, del Delaware, del New Jersey... Se lo fanno negli U.S.A., perché noi no? Se accade così in Danimarca e in Inghilterra, perché da noi no?

Dipende da noi.
 

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