- Le quantità dell'infinito -
 

Maurits Cornelis Escher, Relatività, 1953
 
L'INFINITO IN MATEMATICA

Accostare Matematica e Infinito è un'impresa ardua e trovare un collegamento fra loro è un progetto alquanto azzardato. L'Infinito è un tema più adeguato a materie come la religione, la letteratura e la filosofia, non adatto, forse, alla matematica, materia più positiva. L'Infinito (il non-determinato) è, per sua stessa etimologia e natura, ciò che sfugge a una possibile classificazione e misura, mentre la Matematica pretende di identificare e pesare ogni oggetto che esamina. Quindi, almeno in partenza, Matematica e Infinito sembrano non essere conciliabili.
Il cammino di questa affascinante avventura intellettuale parte dalle origini del pensiero moderno, dalla civiltà greca, da Pitagora, Zenone, Aristotele, Euclide e Archimede, passando da Galilei fino ad arrivare a Gödel, attraversando il paradiso di Cantor e l'albergo di Hilbert.
Nel VI secolo a. C. Nasce la logica, quando l'uomo scopre le grandi potenzialità del linguaggio e la sua capacità sintetica. La logica permette all'uomo di elaborare affermazioni e proposizioni vere o non vere. Un teorema non è altro che un enunciato, di conseguenza, come tale, lo si può giudicare vero o falso. Ben presto però sorgono i primi dubbi. Epimenide scopre qualcosa di inaspettato, che rischia di andare a minare nel profondo, nelle radici, la nascente macchina logica. Aveva infatti scoperto il primo paradosso della storia: il paradosso del mentitore.
Tutti gli abitanti di Creta sono bugiardi, un cretese fa questa affermazione: "sono cretese, e posso dirvi che è proprio così: tutti i cretesi sono bugiardi".
Con un'accurata analisi logica scopriamo che l'affermazione del cretese non può essere annoverata né tra le file delle proposizioni vere né tra quelle delle proposizioni false. Infatti, se per assurdo, ammettessimo che l'affermazione fosse vera arriveremmo ad una prima contraddizione, ovvero giungeremmo a negare la prima condizione: egli è un cretese e può dire solo cose false. Se invece l'affermazione fosse falsa, si giungerebbe a negare ciò che ha detto, arrivando ad affermare che i cretesi non sono bugiardi, anche questa proposizione è una evidente contraddizione. Epimenide scopre così una proposizione che non è né vera e né falsa, su di essa è impossibile decidere. Il paradosso del mentitore è il primo di una lunghissima serie. Solamente nel 1931, Kurt Gödel scopre che l'indecidibilità esiste nella forma più rigorosa della nostra mente, ossia la Matematica.
Contemporaneo alla nascita della logica, Pitagora fa importanti considerazioni sui numeri. Definisce numero razionale il numero che è risultato del rapporto fra due numeri interi.

Essi sono, ad esempio, due numeri razionali poiché entrambi sono stati ottenuti dal rapporto di due numeri interi e possiedono una serie infinita di numeri oltre la virgola dove è possibile rintracciare una periodicità, ovvero la stessa cifra o un gruppo di cifre che si ripetono. I numeri di questo tipo formano l'insieme Q. Pitagora scopre un nuovo insieme di numeri: nota che alcuni valori non possono essere il risultato di un rapporto tra due quantità intere. Li definisce "numeri irrazionali".

√2 è numero irrazionale, e risulta composto da una serie infinita di numeri oltre la virgola, al contrario dei numeri razionali non esiste alcuna periodicità nelle cifre decimali. Semplice è verificare non si può ricondurre a un rapporto tra due numeri interi:

a e b sono 2 numeri interi senza fattori comuni, ossia la frazione a/b non è riducibile

 

 

Pertanto a2 deve essere un numero pari, in quanto 2b2 è divisibile per due. Se a2 è pari, a è pari, il quadrato di un numero pari è un numero pari e il quadrato di un numero dispari è un numero dispari.

Pertanto, anche in questo caso, b2 deve essere una quantità pari, essendo divisibile per due, di conseguenza b è pari. Si arriva dunque alla conclusione che sia a che b sono due numeri pari. Questa conclusione è in contrasto con la premessa iniziale, infatti avevamo posto che i due numeri non avevano fattori comuni. Pitagora fa questa scoperta quando studia il rapporto tra la diagonale e il lato di un quadrato. Un altro esempio di numero irrazionale è il famoso pi-greco π:  sempre i greci avevano scoperto che il rapporto tra una circonferenza e il suo diametro rimaneva costante e uguale a π.

π però non è un numero irrazionale come √2, esso infatti non è il risultato di un equazione algebrica. In  questo caso il numero viene chiamato irrazionale trascendente, mentre i numeri come √2 vengono definiti come irrazionali algebrici.

La scoperta di Pitagora segna una svolta nel pensiero matematico. Fino ad allora si pensava che un numero non intero potesse essere sempre ottenuto dal rapporto fra due numeri interi. Pensiero che può essere legittimo, visto che l'uomo ha a disposizione l'infinità dei numeri interi relativi (l'insieme Z). Con gli infiniti rapporti dei numeri interi, anch'essi infiniti, era impossibile ottenere dei determinati numeri, questo era sconvolgente per le mentalità di quel tempo: era nato un nuovo insieme.

Nel V secolo a.C. Zenone scopre un fatto incredibile sul numero più semplice: 1.

L'unità può essere frutto di una somma di infiniti addendi, il semplicissimo numero uno diventa "sorgente" d'infinito, ad esempio, un segmento qualsiasi può essere sempre diviso in infinite parti. L'idea di infinità comincia a prendere ancor più piede con il lampante paradosso di Achille e la Tartaruga.

Supponiamo che Achille sia due volte più veloce della tartaruga e che entrambi gareggino lungo un percorso di un metro. Supponiamo inoltre che Achille dia mezzo metro di vantaggio alla tartaruga. Quando Achille avrà percorso mezzo metro, la tartaruga si troverà più avanti di Achille di un quarto di metro; quando Achille avrà percorso quel quarto, la tartaruga si troverà avanti di un ottavo di metro e così via all'infinito, cioè Achille non raggiungerà mai la tartaruga.

Nel IV secolo a.C., basandosi e prendendo spunto dal lavoro svolto da Zenone, il greco Aristotele afferma:

[...] il numero è infinito in potenza, ma non in atto. [...] questo nostro discorso non intende sopprimere per nulla le ricerche dei matematici per il fatto che esso esclude che l'infinito per accrescimento sia tale da poter essere percorso in atto. In realtà essi stessi allo stato presente, non sentono il bisogno dell'infinito (e in realtà non se ne servono), ma soltanto di una quantità grande quanto essi vogliono, ma pur sempre finita [...].

Aristotele accetta come unica possibilità per l'Infinito qualcosa che cresce continuamente: l'infinito potenziale. Questo va immaginato come un qualcosa in continua crescita, ma che mai raggiunge l'infinito attuale: il limite raggiunto dall'infinito potenziale sarà sempre minore dell'infinito attuale. Quindi l'infinito potenziale tende all'infinito attuale, che al contrario, non è in movimento, esso è saldo. A questo punto sono in gioco due tipi di infinito: l'attuale e il potenziale.

Nel III secolo Euclide riesce a dimostrare l'infinità dei numeri primi e nel contempo Archimede conta quanti potrebbero essere i granelli di sabbia sulla terra nel caso in cui il nostro pianeta fosse fatto solamente di sabbia, qualcuno infatti in quel tempo aveva ipotizzato che i granelli fossero infiniti. Sono due avvenimenti significativi considerando anche quelli precedenti. Da un lato Archimede dimostra che una quantità materiale enorme, come quella dei granelli di sabbia, è finita, dall'altro Euclide scopre una altra serie di elementi infiniti (i numeri primi) nella Matematica; fisicamente non era ancora stato trovato alcun elemento infinito, mentre in matematica l'Infinito o una serie di quantità infinite appare più volte.

Intorno al 1630, Galileo fu il primo a mettere in discussione il concetto di infinito elaborato dai greci. Egli affermò che era possibile suddividere un elemento continuo, come un segmento, in infiniti elementi primi indivisibili, non quanti, senza estensione. Poiché un segmento può essere diviso in parti ancora divisibili, si deve ammettere che il segmento sia composto necessariamente da infinite parti, ma se queste parti sono infinite devono essere per forza senza estensione (non quante), perché la somma di infinite parti estese è un'estensione infinita. Inoltre Galilei, lavorando con i quadrati dei numeri interi, si accorse di un terribile fatto. Avendo un suo allievo posto il problema, si accorse che l'insieme dei quadrati dei numeri interi è anch'esso infinito, sorgeva a questo punto un problema: prima c'era la convinzione che una parte fosse sempre minore del tutto, ora invece una parte (l'insieme dei quadrati dei numeri interi) era infinita e uguale al tutto. Infatti i due insiemi sono infiniti e non si è in grado di affermare quale insieme sia più grande, i quadrati dei numeri interi sono numerosi tanto quanto gli stessi numeri interi. Per dimostrare ciò Galilei costruisce una corrispondenza biunivoca tra i due insiemi, mostrando che ad ogni numero intero corrisponde sempre un quadrato. Conclude quindi il suo studio sull'infinito ammettendo che:

Queste son di quelle difficoltà che derivano dal discorrer che noi facciamo col nostro intelletto finito intorno a gl'infiniti, dandogli quelli attributi che noi diamo alle cose finite e terminate; il che penso che sia inconveniente.

Eppure, nonostante questa dichiarazione di impotenza intellettuale, Galilei diventa il padre della scienza moderna, è con lui infatti che si comincia a studiare la natura in modo rigoroso e sistematico. All'interno dello studio la parte più importante è affidata al principio di riproducibilità: una teoria, per essere scientificamente vera deve essere corroborata dalla prova sperimentale, e questa deve essere riproducibile.

Nell'Ottocento entra in scena il personaggio principale nella storia dello studio dell'infinito, Georg Cantor. Innanzitutto Cantor pone come base del suo lavoro il principio di corrispondenza biunivoca:

Chiamiamo equivalenti due insiemi M ed N, se è possibile porli in una relazione tale che ad ogni elemento di uno di essi corrisponda un elemento e uno soltanto dell'altro.

È molto importante, per Cantor, questa corrispondenza perché gli permette di contare gli elementi di un insieme. Questo procedimento era già stato utilizzato da Galilei:

A: {1, 2, 3, 4, 5, ... n}
B: {1, 4, 9, 16, 25, ... n2}

Al numero 1 Galilei faceva corrispondere l'1, al 2 il 4, al 3 il 9 e così via. In questo modo Galilei nota che i due insiemi sono infiniti.

Cantor scopre che non basta l'infinità dei numeri interi per contare e identificare tutti i punti di un segmento. Questi punti in verità possono essere messi a confronto con i numeri reali (insieme R). Egli afferma per la prima volta nella storia dell'intelletto umano la possibilità che esistano due livelli di infinito. Il primo è rappresentato da tutti i numeri interi e misurato con la potenza aleph-zero (N0), il secondo rappresentato da tutti i numeri reali e rappresentato con la potenza aleph-uno (N1).

Tutti gli insiemi infiniti, i cui elementi siano in corrispondenza biunivoca con l'insieme infinito dei numeri interi, hanno lo stesso livello di infinità, la stessa forza d'infinito, la stessa potenza. Quest'ultima è definita "potenza del numerabile" ed è da lui indicata con il nome di aleph-zero. Proprio la potenza di un insieme è stata la prima unità di misura usata nella storia umana per identificare un livello d'infinito. Possono essere concepite anche potenze di infinito superiori alla potenza dell'infinito numerabile e inoltre esistono insiemi equipotenti. Sono, per esempio, insiemi equipotenti l'insieme dei numeri interi, l'insieme dei numeri pari, l'insieme dei numeri dispari, l'insieme dei quadrati o dei cubi dei numeri interi (in questi casi la parte è uguale al tutto).

Nel 1873 Cantor scopre che esiste un insieme infinito con potenza maggiore di quella del numerabile. Studiando i numeri irrazionali e razionali scopre che, nei numeri decimali, oltre alla virgola, ci può essere una serie infinita di numeri. Essi possono rappresentare la serie infinita dei punti in un segmento: questa ipotesi viene chiamata "ipotesi del continuo". Nell'insieme dei numeri interi (N0) per passare da uno a due si fa un salto quantico, di un'unità, nel caso dell'insieme dei numeri reali (N1) per passare da uno a due il salto diventa sempre più piccolo, fino a essere annullato: diventa appunto "continuo". Nasce quindi il problema che possano esistere livelli intermedi tra aleph-zero e aleph-uno. Cantor intuisce di no.

Sorge ora un altro terribile dubbio: è possibile costruire insiemi, come aveva fatto Cantor, o si va incontro a profonde contraddizioni, come l'antinomia di Russel? Questa antinomia nasce dal concetto di "classe delle classi". Le classi (insiemi) possono essere di due tipi: Normale ed Eccezionale. Ad esempio la classe degli idraulici è una classe normale, infatti questa classe non si identifica con un singolo idraulico. La classe delle cose immaginabili invece è una classe eccezionale perché è uguale a se stessa, infatti la classe delle cose immaginabili è una cosa immaginabile. Anche la classe dei non-alberi è elemento di se stessa, infatti ogni elemento di questa classe corrisponde a tutto ciò che non è un albero. Consideriamo le classi normali e l'insieme di quelle classi, ovvero la classe di tutte le classi normali. La classe delle classi è o non è una classe normale? A questa domanda non si può rispondere in maniera esaustiva.  Se si rispondesse affermativamente, si direbbe che  la classe delle classi è un insieme normale. Allo stesso modo non si può negare che essa sia un elemento di sé stessa, esattamente come una classe eccezionale. Se al contrario si dicesse che è una classe eccezionale (rispondendo negativamente) , allora si affermerebbe che la classe delle classi è elemento di se stessa, quindi dovrebbe essere una classe normale, annullando tuttavia l'ipotesi iniziale.

La nozione della classe delle classi porta all'antinomia di Russel e nasce il sospetto che il Paradiso di Cantor, come l'aveva definito Hilbert, fosse minato da una profonda contraddizione. L'antinomia di Russel non era un paradosso. Georg Cantor, per poter costruire legalmente insiemi infiniti di potenza superiore al numerabile, aveva bisogno di due cose. Poter scegliere all'interno degli insiemi infiniti gli elementi con i quali realizzare un nuovo insieme, e una volta creato un grande numero di nuovi insiemi comporre l'insieme di tutti i nuovi insiemi costruiti. Arriverà più tardi Gödel a salvare Cantor.

Alla fine dell'Ottocento Giuseppe Peano assiomatizza l'aritmetica dopo migliaia di anni dalla nascita della matematica. Come aveva fatto Euclide con la geometria, Peano cerca di ricondurre tutta la matematica sotto l'assoluto rigore di alcuni assiomi:

  1. Esiste un numero naturale, 0 (o 1)
  2. Ogni numero naturale ha un numero naturale successore
  3. Numeri diversi hanno successori diversi
  4. 0 (o 1) non è il successore di alcun numero naturale
  5. Ogni insieme di numeri naturali che contenga lo zero (o l'uno) e il successore di ogni proprio elemento coincide con l'intero insieme dei numeri naturali (assioma dell'induzione)

Nel 1900 David Hilbert elabora la lista dei grandi problemi fondamentali:

  1. L'ipotesi del continuo
  2. Si può dimostrare che l'insieme degli assiomi dell'aritmetica è consistente?
  3. Dati due poliedri dello stesso volume, è possibile tagliare entrambi nello stesso insieme di poliedri più piccoli?
  4. Costruire tutte le metriche in cui le rette sono geodetiche
  5. Tutti i gruppi continui sono automaticamente gruppi differenziali?
  6. Assiomatizzare tutta la Fisica
  7. Dati a ≠ 0,1 algebrico e b irrazionale, il numero a b è sempre trascendente?
  8. Dimostrare l'ipotesi di Riemann
  9. Generalizzare la legge di reciprocità in un qualunque campo numerico algebrico
  10. Determinazione delle soluzioni generali di un'equazione diofantea
  11. Estensione dei risultati delle forme quadratiche nel caso di coefficiente algebrico
  12. Estendere il Teorema di Kronecker sui campi abeliani a campi algebrici arbitrari
  13. Soluzione dell'equazione generale di settimo grado utilizzando funzioni con due soli argomenti
  14. Dimostrazione della finitezza di alcuni sistemi completi di funzioni
  15. Fondazione rigorosa del calcolo enumerativo di Schubert
  16. Topologia delle curve e superfici algebriche
  17. Espressione di funzioni razionali definite come quoziente di somma di quadrati
  18. Esiste un poliedro non-regolare e space-filling? Qual è il più denso impacchettamento di sfere?
  19. Le soluzioni delle lagrangiane sono sempre analitiche?
  20. Tutti i problemi variazionali con determinate condizioni al contorno hanno soluzione?
  21. Dimostrazione dell'esistenza di equazioni differenziali lineari aventi un prescritto gruppo monodromico
  22. Uniformazione delle relazioni analitiche per mezzo di funzioni automorfiche
  23. Sviluppo ulteriore del calcolo delle variazioni

Alcuni di questi problemi sono tuttora completamente irrisolti. Comunque primeggia l'ipotesi del continuo.

Pochi anni più tardi, Ernst Zermelo fonda la teoria assiomatica degli insiemi. Esattamente come fece Euclide con le verità geometriche intuite da Talete Zermelo assiomatizza le teorie di Cantor. Insieme a lui altri danno vita alla teoria assiomatica degli insiemi infiniti.

Un insieme è un oggetto matematico che soddisfa un certo numero di assiomi:

  • Assioma di estensionalità
  • Assioma dell'insieme vuoto
  • Assioma della coppia
  • Assioma dell'insieme somma (o unione)
  • Assioma dell'infinito
  • Assioma dell'insieme potenza
  • Assioma di regolarità
  • Assioma di separazione
  • Assioma di rimpiazzamento

Secondo la teoria assiomatica degli insiemi sono validi solo quei teoremi che derivano dagli assiomi prefissati. Partendo da essi i matematici costruiscono una teoria detta "ristretta" se l'Assioma della Scelta non viene assunto; la stessa invece è detta "standard" se viene incluso questo assioma, il quale afferma che:

Data una famiglia non vuota di insiemi non vuoti esiste una funzione che ad ogni insieme della famiglia fa corrispondere un suo elemento.

Nel 1931, dopo la grande delusione di Russel e Whitehead di costruire una matematica coerente e completa, entra in gioco una grande personalità, Kurt Gödel. Il suo operato permette di tornare a riflettere sull'opera di Cantor, infatti egli scopre che nel cuore della più rigorosa struttura assiomatica dell'uomo, l'aritmetica, c'è l'impossibilità di decidere: essa porta a conclusioni contraddittorie e chi pretendesse di formularla in maniera completa sarà costretto a rassegnarsi. In conclusione l'antinomia di Russel non doveva più spaventare il costrutto insiemistico di Cantor: la classe delle classi si può tranquillamente costruire, a patto di non pretendere che questa costruzione sia frutto di un lavoro rigorosamente logico e assiomatico. Come assioma prendiamo il fatto che esiste la classe delle classi e che si possa scegliere.

Gödel scopre che per gli insiemi infiniti "costruibili" è possibile dimostrare che il livello dell'infinito continuo è separabile dal livello dell'infinito numerabile avvalorando quindi l'Ipotesi del Continuo. Quello che Cantor aveva intuito, ora è stato finalmente dimostrato in modo rigoroso, se ci si limita agli insiemi "costruibili". Gli assiomi di Zermelo, Fraenkel e Skolem (già riportati in precedenza) sono la base della "teoria degli insiemi infiniti". In questa teoria l'assioma della Scelta viene preso come assioma di partenza, al contrario, abbandonando questo assioma,  nasce la "teoria ristretta degli insiemi infiniti". Il lavoro di Gödel consiste nel costruire un modello per la teoria ristretta con il quale egli riesce a dimostrare che l'ipotesi del continuo e l'Assioma della Scelta intervengono successivamente come teoremi.

Solo nel 1963 il Matematico Paul Cohen scopre che per gli insiemi infiniti "non costruibili" la cosiddetta "Ipotesi del Continuo" non vale. Il che vuol dire che tra i livelli aleph-zero e aleph-uno ci sono tanti altri livelli d'infinito. Quindi ciò che Cantor aveva intuito non vale per gli insiemi "non costruibili".

Si conclude dicendo che è legittimo lavorare sia con la matematica dell'infinito cantoriana sia con le matematiche dell'infinito non-cantoriane, inoltre l'assioma della scelta e l'assioma del continuo non sono assiomi più pericolosi di altri, da tutti accettati nella teoria degli insiemi infiniti. Il paradiso dell'Infinito Matematico non è stato distrutto, ma esteso nei suoi orizzonti concettuali, su nuove frontiere, ancora più affascinanti.
 

L'INFINITO IN FISICA FISICA

La fisica fa oggetto dei suoi studi gli aspetti misurabili e finiti della realtà, di conseguenza in questo campo non si parla mai di infinito. In fisica esistono cose grandissime e piccolissime, ma le loro dimensioni o quantità non sono mai rapportabili con l'infinito.

Ad Archimede un giorno venne rivolta da un discepolo la proposta che i granelli di sabbia sulla Terra fossero infiniti. Egli, basandosi sui calcoli geografici di Aristarco, li contò, persino nel caso in cui il nostro pianeta fosse composto solo da questi, la cui quantità, sebbene enorme, era sempre e comunque finita.

L'oggetto studiato dalla fisica che si avvicina maggiormente al concetto di infinito è l'universo. Nell'antichità si credeva che questo fosse illimitato, nel senso che non avesse bordi o confini che lo delimitassero. Si credeva infatti che fosse smisurato per la sua imperscrutabilità. Invece nell'età moderna si è scoperto che non esiste un numero inesauribile di pianeti, di stelle o di galassie come si credeva precedentemente. L'universo ha dei confini. Lo spazio è finito.

Stesso discorso è possibile intraprendere pensando alla massa dell'universo. La massa è un componente essenziale della nostra esistenza materiale. La quantità di materia totale dell'universo si può calcolare. Se lo spazio è finito, il numero di oggetti in esso contenuto è finito, di conseguenza anche la massa di questi oggetti è finita. Ci sono però buoni motivi per supporre che la massa fino ad ora misurata sia errata. Infatti quando si va a studiare il valore della costante gravitazionale in altre galassie, ponendola uguale a quello sulla terra e nel nostro sistema terrestre, ci si accorge che i calcoli non quadrano, ossia intervengono delle forze non visibili e non registrabili dai nostri strumenti (si suppone che la massa mancante non sia adesso misurabile perché costituita da antimateria). Significa che in quelle galassie, tra i corpi che noi studiamo e vediamo, interagiscono altri corpi, dotati anch'essi di massa, però non verificabili facilmente con i nostri strumenti. L'ipotesi più ragionevole è che ci sia della massa mancante (in seguito materia oscura) che interviene, per esempio, nella galassia che si stava studiando. Riuscendo a sommare la massa quantificabile tuttora con quella mancante si otterrebbe il vero valore della quantità di materia dell'universo.

Anche il tempo nell'universo è finito. Da una parte, andando indietro con gli anni si arriva al big bang, dall'altra parte invece, verso il futuro, si arriva alla fine dell'universo. Ci sono tante teorie scientifiche riguardanti il destino dell'universo, tutte però sono concordanti nell'affermare che l'universo avrà una fine. Questa fine può avvenire quando si esaurirà il combustibile all'interno delle stelle. Oppure quando la particella più longeva dell'universo, il protone, decadrà.

Insomma, in Fisica non si riesce a trovare qualcosa che parli d'infinito. Questo capita per lo stesso motivo ricordato sopra, fisicamente e materialmente non esistono quantità infinite. Al contrario la matematica ha a che fare con enti più mentali e intellettuali, sicuramente non materiali, i numeri.
 

<< INDIETRO