- Carcass -
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Carcass - Heartwork Heartwork

Gruppo: Carcass
Genere: Death Metal
Etichetta: Earache
Durata: 41:52
Data d'uscita: 1994
Voto: 6,5

1. Buried Dreams - 2. Carnal Forge - 3. No Love Lost - 4. Heartwork - 5. Embodiment - 6. This Mortal Soil - 7. Arbeit Macht Fleish - 8. Blind Bleeding the Blind - 9. Doctrinal Expletives - 10. Death Certificate
 
RECENSIONE



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"Heartwork" rappresenta il punto ideale di arrivo di questa evoluzione, rivelandosi de facto come un ponte di collegamento fondamentale fra la scena death/grind e quella del melodic death che sorgerà di lì a poco in Scandinavia, ove gente come At The Gates, Arch Enemy e, in misura minore, In Flames e Dark Tranquillity, attingerà a piene mani dall'opera di Michael Ammot e soci. L'album esce nel 1994 e diviene subito un must di riferimento per molte band; l'apertura è affidata alla seminale "Buried Dreams", un brano da tramandare alle future generazioni, introdotta da un rifferama tagliente e melodico (con un'atmosfera al limite fra l'esotico e l'orrorifico) sostenuto però non dalla solita batteria sparata a mille, bensì da un più ragionato mid tempo. Il lavoro di chitarra è qui assai più curato rispetto al passato (vedasi le ritmiche e i vorticosi assoli della coppia Ammot - Steer), e soprattutto ben valorizzato da una produzione finalmente degna, che mette in risalto anche la compattezza della sezione ritmica (non si contano i gruppi che hanno riprodotto pedissequamente il suono di batteria di questo disco) . "Carnal Forge" offre più spazio alle classiche sfuriate death, anche qui spezzate però da momenti più melodici: semplicemente magistrale l'incastro fra la ritmica devastante e l'assolo di Ammot, ben più "classicheggiante". Anche i testi risentono del cambiamento di rotta operato dalla band, non più orientati come in passato su inenarrabili carneficine, bensì ispirati a temi molto differenti fra loro: l'esasperato attacco sociale di "Buried Dreams", la riflessione pseudo romantica di "No Love Lost" (una canzone che parla d'amore, come il titolo lascia intendere facilmente), la tagliente ironia di "Blind Bleeding the Blind" e l'assalto alla religione di "Embodiment" parlano chiaro in merito. La title-track è un altro esempio della versatilità compositiva sfoggiata dai quattro, aperta da un riff molto originale, velocissima, spezzata poi improvvisamente da un break più cadenzato; "This Mortal Coil" si segnala per il grandioso lavoro delle due asce, mentre assai particolari sono gli arrangiamenti della già citata "Blind Bleeding the Blind", dapprima velocissima, poi continuamente spezzata da riff e tempistiche lente e pesantissime. "Death Certificate" rappresenta a mio avviso uno dei momenti più interessanti della discografia dei Carcass, un pezzo caratterizzato da suggestivi stacchi e da incastri ragionati, guidato da uno dei riff migliori di sempre, degnamente sostenuto dal lavoro della sezione ritmica.
In definitiva, parlare di capolavoro qui equivale a dire l'ovvio; peccato che questo disco rappresentati anche l'ultima grande prova di una band geniale, che di lì a poco vive l'allontanamento del bravo Ammot, sostituito da Carlo Redegas; nel 1996 esce "Swansong", album assai più settantiano nelle sonorità, cui segue la dipartita del leader Steer e la fine del gruppo, che si vede costretto a sciogliersi, anche a seguito di notevoli problemi contrattuali nel passaggio dalla Earache alla Columbia. Sempre più improbabile appare la reunion, visti i molti impegni degli ex membri (Ammot in primis, ora negli Arch Enemy) e soprattutto la difficile situazione del drummer Ken Owen, che inizia ora a riprendersi da un'emorragia cerebrale che cinque anni fa lo tenne in coma per dieci mesi. Nella speranza che accada l'impossibile, non vi rimane che (ri)ascoltarvi questo piccolo pezzo di storia...
 

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