"Guido Bertero non è nuovo al collezionismo. Potremmo dire che la passione di
cercare e conservare oggetti congeneri, fa parte della sua vita e del suo
destino. La sua curiosità intellettuale lo ha sempre spinto ad approfondire
campi diversi e affascinanti dell'arte e della cultura. Ma l'incontro con la
fotografia lo ha portato in un campo molto speciale, un campo che in Italia è
poco codificato e sicuramente meno istituzionalizzato di altri, innescando così,
nella ricerca di opere da acquistare, una notevole dose di avventura. Lo spirito
pionieristico è una delle caratteristiche più ammirevoli del collezionista
in senso lato. La storia ci insegna che il suo ruolo ha contribuito a scoprire
nuove arti o a recuperare arti alternative." "Quest'arte è tra le più
contemporanee e conseguentemente ha la capacità di dialogare con le nostre
vicende".
Così Enrica Viganò celebra e presenta la mostra di collezionismo fotografico
di Guido Bertero, esposta con il patrocinio della Ersel a Torino, piazza
Solferino 11. Gli appassionati vi si ritrovano, subito immersi in quella
tensione alta del pensiero e dello sguardo, che provoca la presenza dell'arte.
Nella prima parte dell'esposizione, le fotografie ritraggono l'Italia del
dopoguerra e sono tutte segnatamente in bianco e nero. La resa della poetica
neorealista è vivida. Le emozioni sono forti. I ricordi si materializzano.
Indimenticabili scene di vita quotidiana contadina in Sardegna, sono un
patrimonio di testimonianza di un periodo e di un modo di vita passato, tanto
che finiamo per sentirlo quasi addosso, sulla pelle. Un'istantanea coglie un "cercarobe"
di rara caratterizzazione, seduto nella sua stanza, con tutte le sue cose, e
subito cattura l'immaginazione. Un sorriso di giovane donna, sulla porta di un
negozio di Ponte Vecchio a Firenze, racchiude tutta un'epoca, gli anni '50, e la
spiega interamente, così, senza parole (David Seymour). Corteggiatori ammirano
una ragazza americana che passa per la via: in un istante, modi essere, di
atteggiarsi, di vestire, di vivere nel 1951, sono presenti ai nostri occhi e noi
siamo là. (Ruth Orkin). Della stesa epoca l'opera fotografica di Iulius Shulman,
"Case Study House #22", dove, godiamo di una veduta a picco, a sbalzo, sulla città, da una
modernissima casa a vetrate (foto): qui è celebrato il progresso del dopoguerra. Più avanti,
si entra in una sezione che comprende lavori concettuali, più che realistici e
di documentazione: sono quelli, ad
esempio, di Duane Michals. Si tratta di capolavori che hanno segnato il cambio
di registro nella sintassi fotografica. Infatti, nei fotogrammi in successione di
"Incontro casuale", 1970, questo artista esprime, in realtà, una storia. Due uomini si
incontrano nello squallore di una piccola strada secondaria, si avvistano da
lontano, si avvicinano, si
sfiorano, si osservano reciprocamente, si perdono, forse per sempre, senza
essersi mai conosciuti. Ampiamente, si espande, intorno, una gelida atmosfera
esistenzialista. Tutto è narrato senza parole, ma tutto è chiaro e comunicato
compiutamente, nella sperimentazione del linguaggio e nella ricerca di nuove
espressioni.
La cifra di tutto è rappresentata dalle parole di Aaron Siskina, che sono
scritte a parete: "Nel mondo vediamo solo ciò che abbiamo imparato a credere che
il mondo contenga. Come fotografi, però, dobbiamo imparare a vedere, senza alcun
preconcetto". Per andare oltre.