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Scritto da: Giancarla Vietti | Discuti sul FORUM
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Granchi a Malindi
Un pezzo di spiaggia, a Malindi, può riservare esperienze straordinarie

Kenya. Costa di Malindi. Febbraio. Una spiaggia gigantesca e sterminata, quasi sempre deserta. Qui l'oceano si infrange con onde subito vorticose e potenti. Il mio incauto correre, a mezzogiorno, verso l'acqua, attraversando il lungo tratto di spiaggia, viene subito interrotto dalla temperatura letteralmente rovente della sabbia. Resto immobile. Un ragazzo di colore mi vede. Immediatamente mosso a pietà, mi stupisce lanciandomi, da lontano, le sue ciabatte, per permettermi di muovermi e portarmi in una zona d'ombra. Io sorrido ringraziando e, dalla palma che ho raggiunto, gli rilancio le infradito di gomma nere.

Snorkeling

Pur trovando molto affascinante lo stendersi all'infinito di quel litorale, il giorno successivo chiediamo di visitare e fare il bagno in una baia più piccola. Viaggio non organizzato, ma sappiamo che c'è una barriera corallina. Al bureau dell'Eden Rock, questo è il nome dell'hotel, viene chiamato il taxi, che ci trasporta, in circa venti minuti, ad una piccola caletta, anch'essa sempre deserta, dove ci attende, in accordo con il nostro autista, una barca di legno da pescatore, la quale ci traghetta in una zona, dove con le semplici maschere, si può fare snorkeling, presso la barriera corallina. Siamo immersi fra le madrepore, in mezzo a piccoli pesci a grandi righe sgargianti blu e gialle, mentre ci sfiorano altri sciami di piccolissimi esseri di un color pervinca intenso. Sul fondo vedo una grossa sogliola. Inizio a seguirla, mentre scivola veloce, ondulandosi piatta e radente sul fondo, ora sabbioso, ora corallino. Essa usa la tecnica propria dell'autodifesa di molti animali, in grado di mimetizzarsi, grazie al loro colore, il quale si inserisce esattamente e perfettamente nell'ambiente naturale circostante. A tratti, si ferma, immobile, sicura, certa che il fondo marino la nasconda. E così è, infatti. Se io non sapessi che lei si trova in quel punto, probabilmente non la scorgerei. In un attimo, però, si accorge di essere di nuovo vista e scivola via, per poi fermarsi, astuta, più avanti. Forse intuisce che non c'è vero pericolo: è una specie di gioco, tra noi, a lieto fine. Io mi sento immersa in natura, in modo totale, tra acqua e cielo. Respiro profondamente. Qui, il mare trasparentissimo è calmo, poco profondo e lambisce la riva digradando finemente. Lì, vicino, erano affiorate due piccole pinne verticali, di due pesci non meglio identificati, ai quali, comunque, scherzando, avevamo raccomandato di non andarne a chiamare altri, di sicuro molto più grandi. Il nostro accompagnatore e taxista di colore ci dice che, volendo, avremmo potuto rimanere in quella caletta tutta la mattinata e che sarebbe venuto a riprenderci verso le dodici e trenta. Accettiamo volentieri e restiamo d'accordo così. Passiamo quelle ore soli, in mezzo ad un paesaggio primordiale, lontano da tutto.

Incontri inattesi

Arrivano le dodici e trenta, poi le tredici, tredici e trenta, quattordici. Il taxi non arriva. Il sole dell'equatore inizia ad inondarci con tutta la sua forza, quella delle ore della canicola. Naturalmente non c'è ombrellone, non c'è una palma. Iniziamo a preoccuparci. Alle quattordici e trenta siamo tutti e quattro riparati alla meglio sotto l'incavo appena accennato di una roccia laterale, dove ci siamo accovacciati, cercando un minimo di ombra, per difenderci da quella insolazione. Il silenzio diventa assoluto. Noi restiamo immobili, in una scomoda ed enigmatica posizione. Sulla piccola spiaggia ormai è come se non ci fosse nessuno. Veramente avevo notato che la sabbia, compattata dal lambire delle onde, era tutta traforata da piccoli buchi tondi, di varie dimensioni. Non vi avevo fatto caso più di tanto, pensando, forse, che quei fori fossero stati creati dalla penetrazione dell'acqua. Ora, la natura, silente, ripeteva i gesti che sempre compie, anche se noi non vediamo. Anzi, ora poteva ritornare a compierli, proprio perché non più disturbata. Dal nostro punto di osservazione, restiamo nella nostra forzata e dubbiosa attesa. Immobili, nella secca calura. Eppure, in quel momento, in modo inaspettato, assistiamo ad uno spettacolo meraviglioso. Ad un tratto, dai buchi tondi, di cui è costellata la spiaggia, escono, con un ritmo di breve corsa, che li porta da un ingresso all'altro, decine e decine di granchi di tutte le dimensioni. Restiamo col fiato sospeso, non senza un certo timore. No. Noi, per i granchi non ci siamo. Non ci vedono o, comunque non ci osservano. Essi escono da quelle che devono essere le uscite delle loro tane, nella loro piccola corsa, per cercare cibo. E poi, subito, si ritirano sotto, per poi riuscire di nuovo e rientrare. Il ritmo è serrato, quasi cadenzato. E' incredibile, come si dirigano tutti, parallelamente, nella stessa direzione, come un piccolo esercito. Non so spiegarne le ragioni. Ciò che incanta sono i colori. Il beige chiaro della sabbia è come macchiato, all'improvviso, dalle piccole ondate di granchi ora rosa, ora salmone, ora arancio, ora color corallo intenso. Un inimmaginabile susseguirsi di gradazioni di colore. Le dimensioni sono ragguardevoli. Alcuni sono più grandi del palmo di una mano. Noi, in questi momenti, fuori da ogni nostro ambito, abbiamo quasi la sensazione di essere assimilati ai granchi, è come se condividessimo il loro livello di esistenza. Ci sentiamo fusi con il flusso vitale della terra, ne facciamo maggiormente parte. Nasce in noi, tacita, la voglia di andare a fondo ancora, di partecipare di più, di essere ancora di più. Diventa importante, questo momento donato  inaspettatamente. Il ciclo vitale del mare continua ad esprimersi, liberamente, con passaggi che si ripetono ogni giorno, nascosti, silenziosi, poiché fanno parte della catena della vita, fanno parte di quello spettacolo grandioso, che si tiene ogni nuovo mattino.

Il taxi arriva, ad un certo punto. Alla nostra richiesta del perché non fosse venuto all'orario concordato, l'autista risponde, senza problema, ("No problem"), che aveva dovuto pregare.

 


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