- Il fascismo | Parte 2 -
 
APPUNTI DI STORIA
Il fascismo negli anni trenta...


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LA POLITICA ECONOMICA DEL FASCISMO

- Tra il 1922 e il 1925, il fascismo praticò una politica economica liberista secondo lo slogan "Basta con lo Stato postino e ferroviere"; si promosse la ri-privatizzazione del settore dei telefoni e di quello delle assicurazioni; si abolì ogni proposta di rendere nominativi i titoli azionari; venne effettuata la liberalizzazione degli affitti e negata la libertà di sciopero. Tutto questo per vedersi confermato l'appoggio del grande capitale. Dunque, una politica ec. antistatalista volta a premiare, favorire e non ostacolare la libera iniziativa dei privati.

Fu questo un periodo di forte aumento della produzione nazionale complessiva (notevole era la parte del prodotto esportato all'estero), accompagnato da una costante inflazione (dovuta anche alla scarsità di materie prime da lavorare). L'inflazione e l'aumento dei prezzi, lo scarso valore della lira negli scambi internazionali (ci volevano circa 150 lire per comprare una sterlina, a quel tempo), rendevano competitivi i prodotti italiani all'estero (costavano meno dei prodotti di altre nazioni)

- Dal 1925 al 1945, il fascismo mutò la sua politica economica: dal liberismo a una fase di accentuato interventismo economico statale: statalismo economico (il fascismo si vantò, con i provvedimenti che vedremo, di aver decretato la fine del capitalismo in Italia).

A) In una prima fase (1925-1929) furono presi provvedimenti deflazionistici per frenare l'inflazione e salvaguardare i risparmi dei ceti medi (al fine di garantirsi il loro consenso politico). Fu aumentato il saggio di sconto (che rese più caro il denaro e ridusse il credito), e furono fortemente diminuiti i salari reali degli operai. Il calo dei salari portò alla diminuzione della domanda interna di beni, e ciò - assieme all'aumento del valore della lira - condusse al ribasso dei prezzi (deflazione).

Mussolini nel 1926-1927 decise di rivalutare la lira portandola a 'quota 90' (cioè al valore di scambio di 90 lire per acquistare una sterlina). L'aumento del valore della lira significava che ora ci volevano più sterline di prima per comprare la medesima quantità di prodotti italiani (ricordo che a quel tempo gli scambi internazionali di beni si effettuavano in sterline; solo a partire dal 1944, con gli Accordi di Bretton Woods, il dollaro sostituì la sterlina come moneta-base per gli scambi).

Dunque, i prodotti italiani - dopo il 1927 - divennero meno competitivi sul mercato estero, e le esportazioni diminuirono sensibilmente. Molti economisti liberali e liberisti (come Luigi Einaudi) accusarono questi provvedimenti fascisti di essere anti-capitalisti. Ma tutto questo (secondo Marco Revelli e in genere gli storici marxisti) non è vero! I provvedimenti suddetti non furono anti-capitalisti anzi, è vero il contrario. Infatti, dal 1929 in poi (e con l'arrivo in Italia della grande crisi) queste misure permisero al capitalismo italiano di riorganizzarsi e continuare ad ottenere ottimi profitti. Ciò perché

  1. le misure deflazionistiche resero meno acuta (rispetto ad altri paesi) la crisi economica, avendo contenuto in tempo l'inflazione;
     
  2. lo Stato italiano, comunque, si sostituì agli acquirenti esteri con una enorme serie di commesse pubbliche agli industriali (per opere pubbliche, edilizia, armi etc.) e gli industriali produssero molto per lo Stato;
     
  3. inoltre gli industriali godevano dei vantaggi derivanti dalla compressione dei salari: il costo della manodopera era assai basso.

Insomma, il grande capitale ci guadagnò! Il capitalismo sparì solo se inteso come 'liberismo' (era questo il modo in cui il fascismo lo intendeva), ma in realtà, come sistema di profitti privati, "il capitalismo, contrariamente a quanto diceva la propaganda, si rafforzò in Italia" (Carocci, p.1280). In realtà, quello che scomparve fu solo il capitalismo ottocentesco, basato unicamente sulla iniziativa individuale (il capitalismo liberista); nacque (Carocci. Pp. 1245-46) un nuovo capitalismo, quello regolato e protetto dallo stato dittatoriale (v. anche Carocci, p.1130).

Bisogna poi ricordare che già dal 1925-6 lo Stato fascista aveva alzato i dazi doganali, secondo un programma di AUTARCHIA ECONOMICA (che si rafforzò a partire dal 1935-6). Già nel 1925 il fascismo diede il via alla BATTAGLIA DEL GRANO, per raggiungere l'autosufficienza granaria in Italia.

B) Tra il 1929 e il 1936, nel pieno della crisi economica (con più di 1 milione di disoccupati), il regime fascista intervenne sempre più nel controllo dell'economia nazionale, incrementando i lavori pubblici (per diminuire la disoccupazione) e istituendo l'I.R.I. (ISTITUTO PER LA RICOSTRUZIONE INDUSTRIALE - 1933), istituto che ebbe il compito di salvare e sostenere (ma anche controllare) con capitali statali le banche e le industrie in crisi.

Deve essere infine ricordato l'intervento dello Stato fascista per le opere di bonifica dei terreni paludosi. Notevole fu la bonifica delle Paludi Pontine, nel Lazio.

L'intervento del fascismo nel mondo rurale doveva rientrare nel più ampio tentativo fatto da Mussolini (come pure da Hitler in Germania) di mantenere quanti più italiani possibile in campagna, frenando l'esodo verso le città. In ciò si mostrava quell'anti-capitalismo 'romantico', 'naturista' e piccolo-borghese che era presente nel fascismo; quella mentalità anti-industrialista che finiva per esaltare la vita in campagna, dove il lavoro era più nobile e più sano, dove la moralità era solida e i figli erano molti. Mussolini riteneva i contadini più prolifici e virili e sani dei cittadini, e - convinto che il numero fosse sinonimo di potenza - desiderava che la popolazione italiana aumentasse. Il regime distribuì premi alle famiglie numerose e impose una tassa sui celibi! Nel 1938 l'Italia aveva 43 milioni di abitanti.

C) Infine, a partire dal 1936, si abbandonò la politica deflazionistica, si tornò a svalutare la lira e i prezzi tornarono a salire; e tutto ciò per incentivare la produzione e rendere più concorrenziali i prodotti italiani all'estero proprio nel momento in cui , a seguito della Guerra d'Etiopia, erano state decretate (dalla Società delle Nazioni) le SANZIONI ECONOMICHE contro l'Italia.

Inoltre, sempre a partire dal 1936, si puntò su una politica economica che doveva condurre l'Italia alla AUTARCHIA (autosufficienza); si doveva rendere il paese indipendente dall'estero nei rifornimenti di materie prime e derrate alimentari (Impossibile utopia!), in vista di una possibile, prossima guerra generale in Europa e nel mondo.

IL FASCISMO COME REGIME DI MASSA

Negli anni trenta il fascismo andò acquistando i caratteri di un regime di massa che intendeva inquadrare nelle sue organizzazioni tutto il popolo. Venne rafforzata l'Opera Nazionale Balilla, e così i GUF. Venne istituita l'Opera Nazionale Dopolavoro (incaricata di seguire la gente nel tempo libero). Crebbe il numero degli impiegati pubblici. Si tentò di ispirare nelle masse l'esaltazione del capo, cioè di Mussolini, il DUCE. Attraverso il controllo della stampa, della radio e del cinema, il fascismo proponeva agli italiani immagini del duce capaci di suscitare un sincero entusiasmo in milioni di italiani (Carocci): Mussolini che trebbia il grano a torso nudo o che tiene discorsi retorici e tronfi dal balcone di Palazzo Venezia, a Roma. Mussolini che si propone come modello di ciò che gli italiani dovranno diventare: UOMINI NUOVI, attivi, laboriosi, capaci di fantasia ma non 'perditempo', frugali, spartani, virili, risparmiatori etc.

Fu creato un ministero apposito per il controllo degli organi di informazione e propaganda: il MINISTERO DELLA CULTURA POPOLARE (il 'Minculpop'). Tale ministero svolgeva le funzioni della censura fornendo a tutti i giornali le indicazioni quotidiane da seguire, le cosiddette 'veline' (schemi di notizia). Il fascismo dedicò grande attenzione al cinema, imponendo la proiezione nelle sale dei cinegiornali (i film LUCE) che esaltavano il regime e il Duce.

LA POLITICA ESTERA

Per creare l'entusiasmo e il consenso delle folle, Mussolini faceva gran conto anche sul miraggio della gloria e della potenza militare italiana, sottolineando la necessità di prepararsi per lavare l'onta delle tante sconfitte patite a partire dal 1866 (terza g. di indipendenza) fino a Adua (1896) e alla 'vittoria mutilata' del 1918.

In parte i successi della politica estera aggressiva del fascismo furono dovuti alle "estese simpatie di cui il fascismo godette sempre presso tutti i conservatori all'estero" (Carocci). Molti uomini politici inglesi e francesi (esponenti del mondo conservatore, delle destre politiche, anche moderate) avevano salutato con favore l'ascesa al potere del fascismo nel 1922, perché avevano visto in Mussolini il 'BALUARDO CONTRO IL COMUNISMO' (lo stesso dovrà dirsi dell'atteggiamento poco bellicoso, poco fermo, di Francia e Inghilterra nei confronti di Hitler nel 1933 e fino al 1939).

Nel 1924 Fiume fu annessa all'Italia. Ciò creò però una forte diffidenza della Iugoslavia verso il nostro paese. Oltre che verso l'area balcanica, le ambizioni espansionistiche fasciste erano rivolte verso l'Africa, verso l'Etiopia. Questo arcaico impero feudale, abitato da una popolazione guerriera e povero di risorse naturali, era il solo paese africano rimasto indipendente. L'Italia, che aveva tentato di occuparlo, era stata sconfitta ad Adua. Mussolini volle riprendere la politica africana di Crispi. Il Duce pensava che le potenze europee gli avrebbero lasciato mano libera, benché l'Etiopia fosse - come l'Italia - membro della Società delle Nazioni. A partire dal 1934 Mussolini diminuì le spese statali per la bonifica integrale e aumentò quelle destinate all'esercito.

Nell'ottobre 1935 l'Italia aggredì l'Etiopia. Era scoppiata la guerra d'Etiopia.

E' PROBABILE CHE SULLA DECISIONE DI Mussolini abbia influito il desiderio di rialzare, con un successo prestigioso, l'adesione e il consenso degli italiani al regime, adesione che la crisi economica aveva intiepidito. Ma il motivo determinante va cercato nella situazione internazionale.

Hitler, al potere dal 1933, aveva impresso alla politica estera tedesca un carattere aggressivo che preoccupava le potenze occidentali (Francia e Inghilterra) e le induceva a considerare ancora più importante di prima l'amicizia dell'Italia, e a lasciare mano libera contro l'Etiopia. Mussolini pensava che inglesi e francesi non avrebbero bloccato l'Italia in Africa. Il suo calcolo si rivelò esatto. Le potenze europee non intervennero per bloccare l'Italia (chi avrebbe rischiato una guerra per l'Etiopia? Per la povera e lontana Abissinia?). Le potenze si limitarono a protestare vivacemente. Quasi tutti i paesi membri della SdN decretarono le SANZIONI ECONOMICHE contro l'Italia, cioè si impegnarono a non commerciare con l'Italia. Ma non venne preso il provvedimento che avrebbe, nel campo delle sanzioni economiche, bloccato l'Italia: non furono tagliati i rifornimenti di petrolio!

Inoltre, la politica delle sanzioni economiche, guidata (male) dall'Inghilterra, permise a Mussolini di far leva sul sentimento nazionale offeso e di consolidare il consenso interno, e in più spinse l'Italia ad avvicinarsi alla Germania di Hitler.

I generali Badoglio e Graziani in pochi mesi travolsero l'esercito etiopico, male armati. Vennero usati gas asfissianti e bombardamenti aerei contro le popolazioni abissine. Nel maggio 1936 gli italiani entravano in ADDIS ABEBA e la guerra finì. L'Italia aveva il suo impero. Vittorio Emanuele III diventò imperatore d'Etiopia. Era nato l'Impero dell'Africa Orientale (A.O.I.)

Sotto il profilo propagandistico la guerra fu un successo clamoroso. Il prestigio di Mussolini raggiunse il colmo. Ma il tempo delle conquiste coloniali era finito. La guerra d'Etiopia fu l'ultima impresa del genere nella storia contemporanea, fatta nell'epoca in cui si andavano ponendo le premesse della decolonizzazione!

Fu anche l'ultimo grande successo di Mussolini.

Nel 1936, poi, il fascismo italiano - avvicinatosi, come vedremo, alla politica aggressiva nazista - partecipò attivamente alla GUERRA DI SPAGNA, una sorta di 'crociata' delle destre radicali europee contro le forze della sinistra in Spagna, per bloccare la diffusione del socialismo. Ne parleremo.

LA DECADENZA DEL FASCISMO

Conclusasi la guerra d'Etiopia, il regime fascista entrò in una parabola discendente dalla quale non si sarebbe più rialzato. Tra le cause principali di questa 'decadenza' vi sono.

  1. Errori di politica estera commessi da Mussolini per il fatto che egli volle allearsi con la Germania nazista. Del resto, l'AUTARCHIA ECONOMICA non poteva funzionare in un paese (l'Italia) privo di carbone, petrolio e numerose materie prime. L'Italia si legò sempre di più alla Germania, divenendone dipendente per la fornitura di ferro e carbone.
     
  2. Inoltre il fascismo cominciò a perdere l'appoggio di buona parte degli ambienti cattolici quando - nel 1938 - Mussolini introdusse le leggi razziali contro gli ebrei (tra cui il divieto di matrimoni misti) cedendo alle pressioni naziste. L'antisemitismo razzista era poco sentito dagli italiani, e fu severamente disapprovato dalla chiesa.
     
  3. Infine quando nel 1938 la Germania occupò l'Austria e venne a confinare con l'Italia, senza trovare nel duce alcuna opposizione, anche parte dei conservatori italiani timorosi (per la sicurezza nazionale) della vicinanza del gigante tedesco, si staccarono dal duce.

IL FASCISMO E IL RAZZISMO ANTISEMITA

Gli ebrei in Italia erano meno di 50.000 persone (circa l'un per mille della popolazione), del tutto assimilate alla tradizione e alla storia italiana. Molti erano stati fascisti della prima ora. Emancipati dallo Statuto Albertino del 1848, usciti dal ghetto di Roma nel 1870, con la breccia di Porta Pia, bene inseriti nel tessuto economico e sociale del paese, essi non costituivano un particolare problema politico in Italia. Lo stesso Mussolini, ancora nel 1934, aveva espresso duri giudizi nei confronti del razzismo tedesco antisemita. Ma dopo la guerra d'Etiopia e l'avvicinamento con la Germania nazista, le cose cominciano a cambiare. Nel 1937-8 la sudditanza psicologica di Mussolini nei confronti dell'alleato tedesco diventa sempre più evidente, mentre crescono le pressioni dei piccoli gruppi antisemiti italiani (raccolti attorno alle riviste LA VITA ITALIANA, di Giovanni Preziosi; IL TEVERE, di Interlandi). In quegli anni viene lanciata una feroce campagna stampa contro gli ebrei, accusati di essere i leader del comunismo e nel contempo del capitalismo 'plutocratico' (=dei ricchi paesi occidentali) che affama l'Italia con le sanzioni economiche.

Nel luglio 1938 viene pubblicato sui giornali il MANIFESTO DEGLI SCIENZIATI RAZZISTI, un cumulo di immonde bestialità suddiviso in dieci capitoletti. Eccone alcuni titoli:

  1. Le razze umane esistono.
    Il concetto di razza è puramente biologico.
    La popolazione dell'Italia attuale è di origine ariana e la sua civiltà è ariana.
     
  2. E' una leggenda l'apporto di masse ingenti di uomini in tempi storici. Dopo l'invasione dei Longobardi non ci sono stati in Italia altri notevoli movimenti di popoli capaci di influenzare la fisionomia razziale della nazione...
     
  3. Esiste ormai una pura "razza italiana".
  4. E' tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti.
  5. Gli ebrei non appartengono alla razza italiana. [Non c'è bisogno di commento!]

Tra ottobre e novembre del 1938, infine, vengono introdotte le leggi razziali anche in Italia. E questo nonostante "il pensiero e l'opera [di Mussolini] non ebbe mai nulla in comune con il razzismo nazista" (da STORIA DEGLI EBREI ITALIANI SOTTO IL FASCISMO, di Renzo De Felice), e nonostante Mussolini si renda ben conto dell'impopolarità di questi provvedimenti e scopra 'amici degli ebrei' tra alcuni degli stessi fascisti. Del resto, sarà lo stesso Duce ad affermare che "discriminare non significa perseguitare", come a voler moderare gli effetti dell'antisemitismo di Stato nel momento stesso in cui veniva realizzato, anche per tranquillizzare gli ambienti cattolici, in gran parte ostili al razzismo (che nega il valore della conversione religiosa, ancorando l'antisemitismo a fattori di 'sangue' e non a fattori religiosi). Ma che Mussolini non fosse un razzista antisemita non giustifica, ovviamente il suo operato: è stato il regime fascista, in ogni caso, ad introdurre la vergogna delle leggi razziali. E non possiamo nemmeno dimenticare che se moltissimi ebrei italiani si salvarono nel 1943-45 (negli anni della occupazione nazista del nostro paese) grazie alla protezione di gente comune e soldati italiani etc, è pur vero che altri italiani fascisti si arricchirono denunciando gli ebrei e facendoli deportare nei campi di sterminio. Insomma, anche il mito degli 'italiani brava gente' è solo un 'mito'!

In ogni caso, le leggi razziali del 1938 vietavano:

  1. matrimoni misti, tra italiani e elementi di razze non ariane;
  2. iscrizione di ebrei al partito fascista;
  3. possesso o direzione da parte di ebrei di aziende con 100 o più dipendenti;
  4. possesso da parte di ebrei di oltre 50 ettari di terreno;
  5. divieto di prestare servizio militare da parte degli ebrei;

 Gli ebrei non potevano assumere domestici italiani di razza ariana; gli ebrei venivano allontanati dagli impieghi pubblici; erano esclusi dall'insegnamento; gli alunni di razza ebraica non erano ammessi alla frequenza delle scuole pubbliche.

Fu una vergogna. Alcuni ebrei cercarono di convertirsi al cattolicesimo; altri, ebrei o parenti di ebrei - tra cui Enrico Fermi, il massimo fisico italiano, uno dei padri dell'atomica, la cui moglie era ebrea - emigrarono. I più restarono, pensando che la bufera sarebbe passata. In fondo, non aveva detto lo stesso Mussolini che 'discriminare non significa perseguitare'? Ma non fu così. Quando nel 1943 i nazisti occuparono buona parte del paese, gli elenchi degli ebrei censiti in Italia servirono a individuarne molti e a farli sparire nei lager. Morirono circa 7.000 ebrei italiani, a cominciare da quelli massacrati a Meina.

INTERPRETAZIONI DEL FASCISMO

1) Tra le interpretazioni a favore del fascismo spicca quella di Giovanni Gentile (filosofo idealista, autore nel 1925 del MANIFESTO DEGLI INTELLETTUALI FASCISTI, ucciso poi dai partigiani sul finire della guerra), secondo cui il fascismo è stato essenzialmente una esigenza morale, il tentativo di superare gli egoismi individualistici della società e dello Stato liberale; il tentativo di realizzare li STATO ETICO, di conciliare Stato e sindacato, capitale e lavoro. In sostanza, di trovare una 'terza via' alternativa al comunismo e al liberalismo capitalista. Il fascismo è, diceva Gentile, non anti-operaio né reazionario, ma un movimento rivoluzionario in difesa del lavoro (sia quello operaio sia quello degli imprenditori) e della comunità nazionale, al di là degli egoismi liberali e del materialismo socialista che predica la lotta di classe. In Gentile, insomma, emergeva la difesa dello Stato fascista, interclassista, organicista, corporativo.

LA CONDANNA DEL FASCISMO

2) Tra le interpretazioni liberali spicca quella di Benedetto Croce (filosofo idealista che in un primo momento guardò con simpatia al fascismo e poi, nel 1925, contro Gentile e dopo il delitto Matteotti, giunse a firmare il MANIFESTO DEGLI INTELLETTUALI ANTIFASCISTI). Secondo Croce, il fascismo è una "calata degli hyksos" (cioè dei barbari), una malattia morale frutto della crisi dei valori liberal-democratici, uno "smarrimento di coscienza, una depressione civile, una ubriacatura prodotta dalla guerra" Croce era ottimista (troppo!!!): il fascismo "non fu escogitato da alcuna classe sociale"; era solo una parentesi negativa, una malattia momentanea dello spirito, insorta in un corpo complessivamente sano.

Ma i contemporanei di Croce non condivisero il suo ottimismo.

3) Piero Gobetti (1901-1926), fondatore e direttore dal 1922 al 1925 del periodico RIVOLUZIONE LIBERALE, giovane che ha tentato una difficile sintesi tra cultura liberale e socialismo, picchiato dai fascisti e morto a Parigi in conseguenza delle botte, è stato molto più realista di Croce nell'interpretare il fascismo non come 'momentanea ubriacatura dello spirito' ma come conseguenza terribile dello sviluppo storico dell'Italia. Il fascismo ha radici storiche lontane; è autobiografia della nazione, cioè il frutto della mentalità servile, gregaria e conformista degli italiani; della loro pigrizia morale; di un popolo che non ha conosciuto la Riforma religiosa e il principio del libero esame delle Scritture, ma la Controriforma; di un popolo che è stato abituato a dire sempre di sì alle autorità costituite; di un popolo che non ha fatto il Risorgimento, ma lo ha subito come una imposizione monarchica dall'alto. Gli italiani sono un popolo che non ha mai conosciuto una RIVOLUZIONE LIBERALE nel vero senso della parola: una rivoluzione delle coscienze contro lo spirito cortigiano, lo spirito del compromesso e dell'accomodamento. Il fascismo segna "il trionfo della facilità, dell'ottimismo, dell'entusiasmo, della pigrizia". E' dannunzianesimo contro la serietà. E' non capire che la vita è tragica.

3) Per Gaetano Salvemini c'è una continuità storica tra il f. e i regimi politici precedenti la 1° g. mondiale. Per Salvemini il fascismo è la continuazione della corruzione politica dell'età giolittiana. Il f. è l'erede del sistema di Giolitti, "ministro della malavita".

4) Durissimo e molto interessante il giudizio del liberal-democratico Luigi Salvatorelli (già nel 1923 in NAZIONALFASCISMO): Il fascismo è UNA RIVOLTA PICCOLO-BORGHESE; l'espressione della piccola borghesia in crisi, "incastrata tra capitalismo e proletariato come il terzo litigante". Da ciò le "due anime" del fascismo: quella reazionaria, antisocialista, anticomunista, anti-proletaria, anti-operaia; e poi quella pseudo-rivoluzionaria e anticapitalista. L'anticapitalismo piccolo-borghese, di destra, di chi ritiene che la grande industria non paghi mai le tasse e che 'una volta l'aria era più pura'. Dunque un fascismo bifronte.

5) C'è poi l'interpretazione marxista che - come in Stalin e nelle analisi della Terza Internazionale (la cosiddetta 'tesi Dimitrov) - vede nel fascismo la espressione terroristica dei gruppi più reazionari del grande capitale finanziario in lotta contro il comunismo. Dunque, la tesi del fascismo (e del nazismo) come strumento del capitalismo, come 'agente del capitale', senza alcuna autonomia rispetto alla base mandante: il capitalismo. Con un giudizio più complesso e meno semplicistico, Gramsci vide nel fascismo "l'ultima espressione politica della piccola borghesia", che poi, in un secondo momento, divenne serva del capitalismo. Anche Togliatti vide nel fascismo qualcosa di più complesso che non una semplice creatura del grande capitale. Per lui il fascismo fu un regime reazionario di massa, capace di rivolgersi alle masse italiane.

6) A partire dal 2° dopoguerra si sono sviluppate analisi socio-psicologiche. Secondo Erich Fromm, il fascismo è fuga dalla libertà, dalla responsabilità, che viene trasferita a un capo carismatico; è il bisogno di sicurezza, di sentirsi appartenenti a un gruppo; è istinto gregario. [non era, in fondo, già l'idea di Gobetti?] E il freudo-marxista W. Reich riteneva che il fascismo sia una mentalità violenta che deriva dalla repressione sessuale attuata dalla educazione borghese.

7) LA TESI DE FELICE

Renzo De Felice (morto nel 1996) in INTERVISTA SUL FASCISMO (1975) e nella sua enorme biografia su MUSSOLINI (in molti volumi) ha esposto idee che hanno scatenato aspre polemiche. De Felice è stato accusato da sinistra di voler indirettamente giustificare e de-responsabilizzare il fascismo. Vediamo cosa dice il 'revisionista' De Felice.

  • A) Secondo De Felice bisogna innanzitutto distinguere tra FASCISMO-MOVIMENTO e FASCISMO-REGIME. Il fascismo come movimento (il fascismo prima del 1925) è stato espressione del ceto medio. In quanto movimento, il fascismo è stato un movimento rivoluzionario. Certo, dice De Felice, non bisogna dare al termine 'rivoluzionario' il significato leninista oggi usuale. Nel senso marxista-leninista, il f. non è rivoluzionario. Ma il f. è stato un fenomeno realmente rivoluzionario e nuovo in quanto ha cercato di mobilitare le masse e farle partecipare attivamente alla vita dello Stato. Questo è l'aspetto nuovo e rivoluzionario che distingue il f. dagli altri regimi reazionari e autoritari tradizionali.

    Il f. è stato il movimento con cui ampi settori della piccola e media borghesia (ufficiali, impiegati, artigiani, professionisti etc.) hanno cercato di partecipare alla vita politica, hanno cercato una terza via oltre il marxismo bolscevico e oltre il grande capitale. Inoltre, il f. come movimento ha cercato di trasformare la società, di dar vita a una "nuova fase della civiltà", mentre i regimi reazionari classici han sempre e solo cercato di far ritorno al passato. Benché avessero idee confuse, i fascisti erano nutriti di uno spirito illuminista rivoluzionario (radical-giacobino)! (Purtroppo, sembra dire De Felice), a partire dal 1925 circa il fascismo divenne un semplice regime conservatore e perse piano piano le idealità rivoluzionarie precedenti. Nella forma, con le leggi fascistissime, il fascismo 'fascistizzò' lo Stato liberale (annullando il pluralismo democratico, il sistema a più partiti), na nella sostanza la vecchia classe dirigente liberale e l'alta borghesia capitalista "riuscirono a de-rivoluzionarizzare il fascismo, a renderlo strumento della conservazione sociale".
     
  • B) Comunque, anche in quanto regime, il f. non realizzò mai uno Stato veramente totalitario (come invece il nazismo e lo stalinismo). Lo Stato fascista non poté mai sottomettere completamente né la chiesa né la monarchia (il re poteva formalmente revocare la nomina di capo del governo a Mussolini). Dunque, il f. fu un totalitarismo imperfetto;: "di totalitario ebbe solo alcuni aspetti" (cfr. Gavino-Olivieri, p. 254).

Contro la tesi di De Felice si sono scatenati molti storici di sinistra che hanno accusato la sua apparente apoliticità storiografica di fornire una interpretazione del fascismo a uso e consumo delle attuali classi medie borghesi, quelle che hanno votato per la DC e il PSI di Craxi, e oggi per il Polo delle Libertà.

8) Per finire, Norberto Bobbio condanna il f. come movimento ispirato a ideologie negative: "Fu antidemocratico, antisocialista, antiliberale, anti-tutto" La sua sola ideologia era l'attivismo: l'azione per l'azione, in vista del successo. "Non fu una rivoluzione... fu una contro-rivoluzione che assunse solo gli aspetti esteriori della rivoluzione: violenza, intolleranza, fanatismo. Una controrivoluzione per salvare l'ordine sociale esistente" (Da PROFILO IDEOLOGICO DEL NOVECENTO, 1986).

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